contadini al lavoro vicino al Centro Regio di Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 870

[…] a me interessa l’india rurale, in fondo quasi animale. l’altra india mi pare una caricatura nostra e non mi riguarda. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/05/hampi-5-giugno-2006-mail/

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la Hampi che io ho visitato due decenni fa è così diversa da quella patinata per super-ricchi che scopro (come temevo) attraverso una rapida esplorazione in internet, che allora dei modestissimi contadini lavoravano i loro campi spelacchiati vicino alle affascinanti rovine dell’antica capitale imperiale di Vijayanagar, questa specie di antica Roma del Deccan.

ma dovrei dire piuttosto quasi al suo interno.

scene simili, nelle quali i resti archeologici si mescolano ad una vita rurale quasi altrettanto antica, ma presente le ho viste soltanto in Siria, a Palmira e altri luoghi di quello stato, nel mio viaggio del 2003, senza videocamera né macchina fotografica, ma lì sono sicuro che il turismo industrializzato, di plastica, non è ancora arrivato.

così il mio sguardo indugia oggi, su quelle riprese, in vista del loro laborioso montaggio, tra il movimento dei bovini dalle corna dipinte di vivaci colori e i gesti antichi dei contadini, e si sofferma poi, per qualche istantanea sui loro volti seri, segnati dalle rughe di una saggezza esistenziale che non ammette il sorriso.

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ma voglio aggiungere qualcosa di particolare, che pure traspare da questo breve video, ed è la grande familiarità, direi quasi la fraternità, nella durezza del lavoro, tra uomini e mucche.

la spiegò molto bene Alfredo Todisco in un libro scritto con grande finezza di stile e oggi totalmente, ma ingiustamente dimenticato: Viaggio in India.

qui raccolse nel 1966, per gli Oscar Mondadori, i reportage che aveva scritto per La Stampa nel 1960, emulo di Gozzano che aveva pubblicato dei reportage simili mezzo secolo prima, ma i suoi erano in bella parte soltanto immaginari.

non vorrei sbagliare, ma ho l’impressione che quei suoi articoli abbiano costituito un preciso punto di riferimento per il resoconto che l’anno dopo Pasolini fece, con L’odore dell’India, di un suo simile viaggio laggiù: talmente strette sono le analogie, ma soprattutto condivisa una visione dell’India nell’ottica quasi esclusiva della sua povertà, da cui forse solo Todisco si distacca un poco di più, per qualche considerazione più varia.

naturalmente le coincidenze possono essere soltanto il riflesso di una visione dell’India tipica di quegli anni: non posso dimenticare, ad esempio, la frase ricorrente con cui si concludevano nella mia infanzia pranzi e cene, quando mi veniva ordinato di non lascare avanzi nel piatto: pensa ai bambini dell’India che muoiono di fame.

l’India era vista allora come patria allucinata di una fame estrema, di una povertà quasi illimitata, da cui germoglia tuttavia una angelica gentilezza: è l’India di Todisco e Pasolini.

e qui devo fare mente locale e sforzarmi di capire razionalmente che quasi un altro mezzo secolo separava i miei viaggi in India da quelli di Todisco, Pasolini, Moravia, e non è per nulla strano che la mia India sia vista in modo tanto diverso.

così come oramai quasi un altro ventennio separa me da questo viaggio, e così non è strano che anche la mia India sia legata ad un modo passato di vederla: la mia India è oramai più l’India della mia memoria, che quella del presente.

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Todisco dedica un capitolo intero dei suoi resoconti, ricondotti a volume, ad un aspetto anche quasi incomprensibile per noi, della cultura indiana, che è il rapporto con gli animali.

descrive con cura l’Ospedale per gli uccelli di Delhi, che avrei visto anche io tre anni dopo, dove i seguaci della religione jainista raccolgono e curano da tutto il paese volatili feriti o malati, per poi restituirli alla natura, se possibile.

ma, per quel che riguarda il rapporto affettivo speciale, che lega tutti gli indiani di religione hindu alle mucche, che considerano sacre, ha parole così belle, che a me non resta che ricopiarle, come commento a qualche immagine anche del mio video:

Per capire l’intensità dei sentimenti che legano alla mucca gli indù, basti dire che per essi è il simbolo della madre. La buona madre che dà il latte al popolo indiano, come dire l’essenza della vita in un mondo avaro e ostile. Gandhi arrivò a dire che la mucca, sotto certi aspetti, è anche meglio della madre. Nostra madre, egli disse, ci dà il latte dolo per un paio di anni, e poi si aspetta che noi la serviamo con il massimo rispetto. Ma la mucca, invece, non ci chiede niente altro che un pugno di erba… La protezione della mucca è uno dei fenomeni più nobili della evoluzione del genere umano, essa innalza l’umanità aldilà dei suoi stessi limiti.

ecco, sono parole che aiutano a riempire di significato queste immagini che ci mostrano donne e uomini assorti in un lavoro durissimo, ma reso quasi più mite dallo sguardo materno delle mucche vicine a loro.

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in un altro passo Todisco scrive:

Uccidere una mucca, un bue, un vitello, per gli indù è una sacrilegio simile all’omicidio. Mangiare carni bovine è per loro inconcepibile come per noi l’antropofagia. Si tratta di regole antichissime, che un tempo erano certamente in armonia con i capisaldi della antica società indù. […] Fino ad un certo punto della storia, gli indiani dovettero identificare la protezione della mucca con la loro stessa sopravvivenza. Nel senso che la mucca dava tutto quanto era necessario ai bisogni fondamentali dell’esistenza, il latte, il bue da lavoro, il concime, il combustibile. infatti gli escrementi seccati della mucca hanno appunto anche questo uso.

ed ecco qualcosa della saggezza umana che ci ritorna come suggerimento almeno a diminuire la presenza della carne nella nostra dieta, oggi scelta necessaria più che mai a difesa degli equilibri ambientali compromessi del pianeta.

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l’interno del tempio di Hazara Ramachandra e altri edifici del Centro Regio di Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 868

la parte successiva delle riprese di quella mia mattina del 5 giugno 2006, nell’antica città di Vijayanagar, ora che sono passato nel suo Centro Regio, riguarda certamente il tempio di Hazara Ramachandra, perché lo posso riconoscere dai quattro pilastri finemente scolpiti di pietra nera, citati dalla guida della Lonely Planet, che ricordano da vicino, anche per lo stile, quelli del tempio dei Mille Pilastri di Warangal, visto qualche giorno prima.

siccome questo tempio si trova nella parte della città destinata agli edifici pubblici civili, si è pensato che fosse destinato all’uso particolare della corte.

ma forse nel video compaiono anche altri edifici, tra cui la guida cita la Sala delle Udienze dalle Cento Colonne, dove il re riceveva le delegazioni straniere ed esercitava la sua funzione di giudice.

siccome non seguivo un itinerario prestabilito, mi è difficile ora riconoscere i diversi edifici e mi dispiace: i miei video così non sono abbastanza didattici e neppure si prestano ad uso turitsico, ahaha.

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questa parte della mia visita mi appare ora piuttosto solitaria: il guidatore del tuctuc ovviamente restava a guardia del suo veicolo e non mi accompagnava in questi passaggi piuttosto veloci, che mi appaiono, ora che li riguardo, segnati da un vago senso di oppressione, che forse però rispecchia soltanto una certa fretta.

i luoghi sono abbastanza deserti, anche se si sentono spesso delle voci di visitatori che sono tutti locali: sono senza dubbio l’unico occidentale in questi luoghi di una bellezza straordinaria.

ma la gente del posto, che appare, bambini nervosi, soldati, un vecchio mendicante tremulo, col quale ho chiuso il videoclip, sembrano rinchiusi ciascuno in un cerchio di solitudine.

che era un poco anche la mia, nel misurarmi, per la prima volta con un’India impercettibilmente infelice.

cosa strana in India; la registro, anche se non me la spiego.

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il tempio, costruito è dedicato al dio Rama, il protagonista del Ramayana, questa specie di Iliade dell’India

dal Centro Sacro al Centro Regio di Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 867

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fino a questo momento, nella giornata del 5 giugno 2006 e in quella precedente, mi ero aggirato nella parte delle rovine di Vijayanagar più vicina al piccolo paese di Hampi nel quale mi ero sistemato.

questa sezione della zona archeologica è chiamata Centro Sacro, perché dominata da edifici di carattere religioso, ed è quella che si trova in mezzo a quell’insieme spettacolare di rocce rosa che dà ad Hampi il suo aspetto più caratteristico, e che si affaccia sul fiume.

ma più ad est la città antica aveva un quartiere diverso, sia per il contesto naturale nel quale era inserito sia per il carattere prevalentemente civile degli edifici che lo compongono, e questa zona viene oggi chiamata Centro Regio, anche se a Vijayanagar non si trova nulla che possa essere considerato una reggia vera e propria, o quantomeno adeguata all’importanza dell’impero che vi aveva la capitale, secondo i nostri parametri di giudizio.

questo potrebbe essere considerato un segno parlante degli equilibri sociali che la guidavano: il fatto che i suoi edifici fondamentali siano religiosi dimostra che la vera élite della città era sacerdotale, prima ancora che politica.

lo dimostra anche il fatto che le principali feste della città erano religiose e che nel corso di una di queste ogni anno il re veniva pesato e una massa di oro e gioielli corrispondente veniva versato ai sacerdoti e non restava certo a lui, come invece accadeva fino a qualche decennio fa all’Aga Khan nella parte nord-occidentale islamica dell’India, oggi Pakistan.

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il video mostra il passaggio a questa zona, che feci in tuctuc, non perché la distanza dal Centro Sacro sia tale da non poterla fare a piedi, è di un chilometro circa, ma per la necessità mia di concentrare la visita in vista della partenza nel pomeriggio.

e a me rimane un’ombra di rimpianto di non avere visto l’insieme del sito di Hampi come meritava, perché qui non sarebbe stato fuori luogo il soggiorno di una settimana intera (lo dico se mi leggesse qualcuno che pensa di andare effettivamente in India, ad esempio Elenina, che ho recentemente conosciuto e che sta progettando un viaggio lungo lì).

ed ecco che invece di congratularmi con me stesso per avere visto questo luogo straordinario ignoto a chiunque conosco, trovo anche il mio solito modo incontentabile di lamentarmi…

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passo comunque alle prime immagini di questa nuova parte della città, talmente diversa da quelle viste finora, da far pensare quasi di trovarsi in un altro antico centro urbano, immerso nel verde pianeggiante di una rigogliosa vegetazione tropicale.

sempre affascinante, comunque.

bambini ed altri visitatori tra i monumenti di Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 866

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metto in guardia (ma ?dovrei dire disclaimer?): questo è un video di routine, alquanto ripetitivo, per chi ne ha già visti altri sul tema, e raccoglie le riprese fatte a bambini ed altri visitatori tra i monumenti di Vijayanagar, ma senza particolare entusiasmo:

quei bambini erano abbastanza petulanti, anche se continuavano a strapparmi qualche sorriso indulgente, e hanno continuato a seguirmi, in questa prima parte della giornata, praticamente tra ogni monumento di questa parte del sito, intromettendosi ogni volta nelle riprese, perché consideravano molto più interessanti se stessi e la loro voglia narcisa di esserci nel video futuro, piuttosto che quelle antiche pietre senza valore ai loro occhi, visto che facevano parte del loro ordinario vissuto.

si vede bene che sono bambini di un luogo turistico, perché sono privi nei riguardi dello straniero di quel ritegno composto che si trova invece nei bambini indiani meno immersi nel circuito globalizzato dei viaggiatori.

e non si può immaginare il lavoro che mi è costato separare le loro intromissioni dalle immagini solenni e a volte perfino inquietanti di quei monumenti.

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detto questo, approfitto del fatto di intrattenermi con le immagini ancora in questa parte di Vijayanagar, per dare le ultime informazioni e aggiungere qualche altra osservazione volante sui culti che venivano celebrati qui.

prima di tutto, prima di tutto devo spiegare, come avevo promesso, che il dio Vitthala, il titolare dell’ultimo enorme tempio visto (qui però mostrato all’inizio del videoclip), ha anche un secondo nome, ovviamente, e non parlo della variante della trascrizione Vittala, ma della forma Vithoba.

e ne ha perfino un terzo: Panduranga; ma poi devo trascurarne altri tre: Pandharinath, Hari and Narayan.

è venerato soprattutto negli stati del Maharashtra, quello che avevo visitato nel mio secondo viaggio a dicembre-gennaio, e in questo del Karnataka.

è una delle forme che assume il dio Vishnu, attraverso il suo avatar Krishna. e non ditemi che a questo punto vi gira la testa, perché sta girando anche a me, ma questo non confonde evidentemente gli indiani, che anche in questo modo arrivano a quel loro tipico modo molto fluido di pensare, per noi decisamente incomprensibile.

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è spesso raffigurato come un giovane dalla pelle scura, assieme alla sua affascinante e sinuosa consorte Rakhumai, che ora riconosco nella statuetta di legno di sandalo profumatissimo che portò dall’India a mia madre una vicina di casa, non sposata, che vi si recava per iniziative benefiche.

ma Vitthala è anche al centro di una fede essenzialmente monoteista e non ritualistica guidata in questi due stati da una particolare setta brahminica.

come sia possibile che la divinità di un culto politeistico sia anche identificata come dio unico di una fede monoteistica è di nuovo qualcosa che può capire soltanto la mente indiana, già allenata da secoli ai nostri moderni misteri della fisica quantistica.

ma io qui mi trattengo dall’immergermi nell’esaminare la sua importanza letteraria in una serie di inni in lingua kannada, nelle infinite varianti delle storie che lo riguardano e nella complicatissima simbologia di ciascuna di esse;

mi basta esprimere lo sgomento che prende la mia mente occidentale, tutto sommato semplice e razionale, di fronte all’immenso irrazionalismo indiano.

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mi accontento, per concludere, di ritornare, con un altro breve cenno, all’immagine, per noi orrifica, del dio uomo-leone Narasimha, che ho già mostrato e di cui ho già parlato, per sottolineare ancora che la sua terribilità è vissuta come protettiva, come ben dimostrano i bambini che giocano davanti al mio obiettivo ai piedi della sua enorme statua.

ma, esaminando le riprese del video precedente, ho notato che la sua faccia inconfondibile si trovava anche alla sommità di questo stesso tempio, che è dedicato a quel Vitthala che alcuni venerano come dio unico, ma poi non disdegna di avere al culmine di uno dei suoi gopuram l’immagine di un altro dio, appunto Narashima.

molti dei sono meglio di uno solo, si direbbe, quando la vita è particolarmente dura, come qui, e c’è particolare bisogno della protezione divina.

il grande tempio di Vitthala, Patrimonio UNESCO, a Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 865

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nel grande tempio di Vittala, Patrimonio UNESCO, a Vijayanagar, si rinnova per me l’emozione provata nel mio primo viaggio in India dell’anno prima, di fronte agli antichi templi solenni e per noi misteriosi del Tamil Nadu, ricavati nella stessa pietra rosa, che è poi quella delle grandi rocce erratiche che anche qui costellano il territorio.

sono ridondanti di sculture elaboratissime, con motivi figurativi che sono pure simili.

questi templi sono l’equivalente delle nostre cattedrali medievali, anche se si nota bene come fa noi domina la spinta verso l’alto, che alla fine esprime una visione unitaria e rassicurante del mondo, e invece in queste architetture indiane si manifesta prevalente quella verso l’allargamento e la moltiplicazione orizzontale degli spazi, fino a creare un senso di spaesamento labirintico, che è un modo molto diverso di percepire la realtà.

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questo tempio è un po’ meno antico di alcuni di quelli tamil, perché fu iniziato sotto il regno del già ricordato re Krishnadevaraya, ma rimase incompiuto alla sua morte precoce nel 1519 e non entrò mai in funzione.

è qui che si trovano le famose colonne musicali, che, colpite dalle dita nel modo giusto, danno suoni diversi, come se fossero strumenti a percussioni, una specie di grande xilofono di pietra.

ma vedo che per fortuna, mi sono ben guardato dal farlo: milioni di persone che ripetono il gesto nei secoli alla fine le distruggono.

comunque in internet, chi volesse può trovare delle riprese che lo mostrano.

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ma ?chi è Vitthala?, che la guida Lonely Planet trascrive come Vittala…

la risposta alla seconda parte di questo post, che scriverò stasera.

il piccolo tempio di Ganesh e la statua del dio-uomo-leone Narasimha, a Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 864

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se nella mia prima giornata ad Hampi mi ero affidato ad un libero vagare, senza indicazioni, tra le centinaia di templi di Vijayanagar, completamente assorto nelle libere ed indistinte emozioni che mi provocava la loro vista in un paesaggio tanto sconvolgente, nella seconda assumo di più il ruolo del turista diligente, che visita i luoghi distintamente più importanti, cercandoli per nome.

e a questo probabilmente mi spingeva anche il guidatore del tuctuc, assunto per mezza giornata, che mi portava nei luoghi canonici, altrimenti non raggiungibili nel poco tempo disponibile prima della partenza, considerando come sono sparsi in un’area immensa e che possono esserci chilometri tra l’uno e l’altro, e del resto io non avevo noleggiato una bicicletta, che mi avrebbe evitato questa forma di dipendenza, ma esposto al rischio di cadute, per la mia scarsa familiarità col mezzo.

qualche anno dopo avrei fatto una esperienza simile, dell’enorme estensione di un sito archeologico, a Bagan, nel Myanmar, tra le duemila pagode sopravvissute di una capitale altrettanto scomparsa, ma ancora più grande, ma immerse in una pianura più ampia e più piatta, tanto che per esplorarle avevamo noleggiato un paio di calessi tirati da cavalli, alcuni turisti con cui avevo amicizia sul posto, ed io.

ma, rivedendo le immagini di questo mio secondo giro del 5 giugno 2006 per la scomparsa capitale imperiale del Deccan centro-meridionale, mi rendo conto della eccezionalità assoluta di questa combinazione tra resti antichi e paesaggio.

è come se Roma, con i suoi monumenti antichi, fosse sorta in mezzo alle Dolomiti.

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ma questi monumenti, se riconosciuti ed individuati, riassumono anche la mitologia indiana.

ecco dunque, per esempio, nelle riprese che presento oggi, i luoghi dove si veneravano, ma si venerano ancora, due protagonisti del mondo fantastico della religione hindu, l’ultimo paganesimo ancora vivo del pianeta.

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prima riprendo il piccolo tempio a cui si arriva attraverso un affascinante percorso campestre e in cui è conservata una grandissima statua di Ganesh, di dimensioni che definirei egizie, considerando che è stata scolpita in un blocco di pietra di quasi 5 metri d’altezza.

Ganesh lo chiamiamo così, quasi per voglia di abbreviare, ma si dovrebbe dire Gaṇeśa, in sanscrito गणेश:

è il figlio della sposa di Shiva, Parvati, che lo creò dalla farina con cui si era cosparsa il corpo per un bagno e lo mise a guardia della casa, ma Shiva, tornando e trovandosi bloccato da uno, per lui sconosciuto, gli tagliò la testa, che venne poi sostituita da quella di un elefante, una volta riconosciuto il tragico errore.

il redivivo Ganesh, resuscitato dalla morte, fu messo a capo delle schiere celesti o, secondo un’altra versione, dei piccoli demoni deformi associati a Shiva.

in ogni caso, qualunque sia il suo ruolo, è il Signore degli Ostacoli e assieme Colui che li Rimuove, e nessun indiano inizia qualcosa di importante senza invocarlo.

Ganesh è il simbolo di chi ha scoperto la Divinità in se stesso e la capacità di distinguere la verità dall’illusione, il reale dall’irreale.

rappresenta il perfetto equilibrio tra l’energia maschile e femminile, tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; ben posso fare a meno di ricordare che in uno dei detti di Jeshuu trascritti dal fratello gemello Giuda, ritorna proprio questo concetto tipicamente indiano: […] quando farete del maschio e della femmina una cosa sola, cosicché il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più femmina, […] allora entrerete [nel Regno]. dal Detto 22.

così a volte è rappresentato come celibe: ama troppo sua madre: Portatemi una donna bella come lei e io la sposerò, ma la sua eventuale ambiguità sessuale è soltanto allusa.

poiché fu affidata a lui la trascrizione dell’immenso poema del Mahabharata sotto la dettatura del saggio Vyāsa, e durante l’operazione la penna si ruppe, ma la dettatura non poteva essere interrotta, allora si spezzò la zanna destra, per poterla usare per la scrittura.

decisamente obeso è il manifesto vivente della disponibilità sorridente verso gli altri: una specie di Cristo eternamente sorridente, che non è finito torturato e crocifisso per colpa degli uomini e non si è sacrificato per loro per tormentarli col rimorso del suo sangue.

ma questo è soltanto un debolissimo accenno all’insieme tumultuoso di storie che lo riguardano, spesso contraddittorie fra loro, e serve solo come piccola spiegazione del culto particolare dedicato a lui, che si percepisce anche nelle riprese.

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la seconda divinità a cui è dedicata una statua altrettanto imponente, che si trova però all’aperto, e la si vede alla fine del video, è il dio-uomo-leone Narasimha, che è un avatar di Vishnu.

cioè è la forma che questo dio assunse, per uccidere un demone, considerato invulnerabile, perché non poteva essere ucciso né di giorno né di notte, né da chi era all’interno del suo palazzo né da chi era fuori, e Narasimha lo uccise, superando i limiti del divieto che rischiava di rendere immortale quella potenza negativa, al crepuscolo, uscendo da una colonna, per poi divorarlo.

così la sua immagine è terribile, sì, e potrebbe spaventare, anzi dovrebbe, ma soltanto le potenze ostili all’umano, e il terrore che ispira è in realtà protettivo.

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queste informazioni potranno essere anche un poco tediose, anche qui sono soltanto sommarie, rispetto all’incredibile ricchezza di versioni differenti e di episodi collegati che le arricchiscono, in una conoscenza più completa, ma sono necessarie per cogliere il significato di quello che si sta vedendo.

sempre se non ci si vuole limitare all’aspetto puramente estetico di quello che qui si mostra da bravi turisti massificati.

una processione hindu tra i templi di Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 863

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il resoconto della giornata del 5 giugno, promesso all’inizio della mail a nadia-bi di quella sera, non venne poi di fatto scritto.

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[…] e’ appena saltata la luce e ho temuto di avere perso tutto.

mi fermo allo schema. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/05/hampi-5-giugno-2006-mail/

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questa prima interruzione della corrente, seguita da quella subentrata all’avventuroso arrivo alla guesthouse poco dopo, sospese dunque i resoconti, e così lo schema, buttato giù frettolosamente prima di uscire dall’internet cafè, consistette poi in soli due punti per parlare di tutta l’ulteriore giornata del 5 giugno, trascorsa di nuovo quasi interamente ad Hampi e tra le rovine di Vijayanagar.

è forse l’occasione per evidenziare dunque anche gli aspetti negativi di questo soggiorno ad Hampi, che pure fu rigenerante e pieno di ogni tipo di stimolo mentale:

oltre alla precarietà della disponibilità della corrente elettrica, bene dimostrata dalle continue interruzioni, forse finora si è potuto almeno intravvedere tra le righe un secondo aspetto, che era poi più dovuto alle messe in guardia della guida della Lonely Planet che reale, almeno per quanto posso ricavare dalla mia esperienza.

la guida avvisava infatti, con grande rilievo, del rischio di essere derubati, durante la visita delle rovine, soprattutto se in luoghi isolati, ed era questo il motivo per cui mi ero ben guardato di portare il portafoglio con me, durante la mia camminata laggiù, e lo avevo invece ben nascosto nella suite della mia guesthouse, così da doverci far entrare il driver del tuctuc che mi aveva aiutato a ritrovarla nella notte, per poterlo pagare.

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ma eccoci comunque al risveglio della mattina del 5 giugno:

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[…] sono le 8,30, il sole è già sorto da due ore e il mio driver è già qui fuori che mi aspetta. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/482-06-hampi-vii-14-5-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-36/

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e certamente fu quel mio primo driver di tuctuc, così intelligente nel capire quello che cercavo, a portarmi alla coloratissima processione musicale hindu nel tempio principale di Vijayanagar, giusto per smentire la mia affermazione che quel monumento era oramai ridotto a testimonianza storica ed attrazione turistica, ma non era più in uso.

e che uso: ecco i tamburi, le trombe, i sari coloratissimi e squillanti, i sorrisi delle donne che si voltano, contente di essere riprese.

è quasi una nostalgia ancora viva vedere il corteo che si allontana entrando tra le antiche colonne, mentre l’eco della musica si spegne.

mancava solo il sole a questa festa, perché tutta questa visita ad Hampi si svolse sotto l’ombra nuvolosa del monsone.

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ma invano aspetto altro, da questo post, e lo stesso anche dal resoconto di qualche giorno dopo, al rientro in Germania: la mia seconda giornata ad Hampi resta affidata alle riprese, del tutto o quasi.

di questa vivace festa non avevo mai parlato prima di oggi, né allora né dopo, e me la sarei del resto del tutto dimenticata senza il supporto della registrazione video.

VIDEODIARIO fotografico del 4 giugno 2006. Hampi e Vijayanagar – 861

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presento qui nel video una vera e propria galleria fotografica su Hampi e le rovine dell’antica Città della Vittoria (Vijaya-nagar), tra le quali si trova annidato questo modesto villaggio, e non esito a definirla straordinaria, perché il giudizio non riguarda il fotografo, ma il fotografato.

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ma è giunto finalmente il momento di dare qualche notizia un po’ più sistematica sulla città antica di Vijayanagar, che è la protagonista indiscussa di questa rassegna di immagini: finora ho dato solo qualche accenno alla sua storia di capitale immensa, della quale è rimasto solo questo spettacolare ammasso di rovine, che definirei quasi filosofico.

fu fondata nel 1336, anche se in un sito già abitato almeno dal primo secolo d.C., e un centro buddista era nelle vicinanze, nel quadro di una reazione hindu alla penetrazione islamica, dal nord, in questa regione, dopo che la fortezza di Anegondi, che si trovava nella zona, venne conquistata dal sultano di Delhi.

circondata da sette linee di fortificazione, di cui oggi restano solo vaghe tracce, e abitata da circa mezzo milione di persone, ricopriva una superficie pari al doppio del centro storico di Roma antica, come ho già ricordato.

raggiunse il suo massimo sviluppo sotto il regno di Krishnadevarajah; ve ne traduco il nome, senza traduttore automatico, per quel tanto che posso avere cominciato a capire a forza di citazioni e nel rimpianto di non avere affrontato lo studio del sanscrito nei miei studi universitari a Milano di più di mezzo secolo fa: il re, rajah, del dio, deva, Krishna.

questi salì al trono a 22 anni, nel 1509, avviò una serie di campagne militari contro gli stati islamici del nord e nel 1520, a capo di un esercito di 750mila uomini, sconfisse il sultano di Bijapur, rifiutando una sua proposta di pace, e togliendogli alla fine anche la capitale.

nello stesso tempo avviò gli enormi progetti architettonici che costituiscono ancora la meraviglia di questo luogo, progettò un sistema di distribuzione dell’acqua in città (questo era uno dei suoi punti di forza, a differenza di altre città fortezza, viste più a nord nel mio viaggio precedente, che dovettero essere abbandonate subito dopo essere state costruite, proprio per la mancanza di acqua), e fondò anche una seconda città, oggi conosciuta con nome di Hospet.

un viaggiatore europeo del tempo, Domingo Paez, lo descrisse in questo modo: Uomo galante e perfetto in ogni cosa, tutti i giorni prima dell’alba solleva enormi pesi di terracotta, poi si esercita con la spada e si allena alla lotta, e, dopo questi esercizi, sale sul suo cavallo e galoppa per la pianura.

eppure Krishnadevarajah si ammalò e morì, dopo vent’anni di regno, a soli 42 anni, e la sua morte segnò la rovina del suo impero.

i musulmani del Deccan si coalizzarono e vinsero, arrivando alla completa distruzione della città nel 1565.

così la potenza di quel regno era durata in tutto poco più di due secoli.

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del resto l’impero era circondato da potenze nemiche e la sua politica estera veniva decisa in un modo alquanto bizzarro, a stare sempre alle cronache di Paez:

nel corso della grande festa annuale di Mahanavami, che durava nove giorni, a settembre, il re prendeva un arco e tirava tre frecce: una verso Bijapur e il suo sultano, una verso Golconda e il suo shah, e una verso i portoghesi di Goa, la loro colonia sul mare: dove arrivava la freccia più lontana, in quella direzione si dichiarava guerra.

credo che, rito della freccia a parte, anche la politica estera dell’Occidente di oggi sia decisa allo stesso modo, a fronte dei suoi tre nemici storici: la Russia, la Cina e il mondo islamico, con la sola differenza che noi cerchiamo lo scontro con loro tutti insieme e non uno alla volta.

così la fine non sarà troppo diversa, visto che questo successe anche all’immensa Vijayanagar, famosa al tempo per la ricchezza dei suoi bazar e della sua straripante economia.

per chi volesse tenerne conto, la storia dà qualche insegnamento, direi.

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la galleria fotografica l’avevo pubblicata in un post scritto per il mio blog di allora, bortolindie al rientro a Stuttgart dal viaggio, qualche giorno dopo, https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/13/474-06-hampi-vii-8-4-giugno-13-giugno-2006-bortolindie-30/, ed era divisa in due parti: QUATTRO MURATORI e GALLERIA FOTOGRAFICA DI HAMPI.

ma poco dopo le foto della giornata erano state anche inserite nel post successivo, in cui ripubblicato per me la mail con la cronaca della giornata del 5 giugno: https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/482-06-hampi-vii-14-5-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-36/.

ora nel video la loro distribuzione è leggermente diversa e con un commento musicale, che mi pare adeguato, anche se preso dall’esecuzione di un gruppo moderno.

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i miei due lettori abituali delle mie cronache indiane di questo blog credo che le troveranno stupefacenti, anche se le riprese mostrate ne hanno già anticipato alcuni scorci:

sono infatti in larga parte nuove, a parte quelle del primo gruppo citato sopra, perché questa volta non le ho inserite come faccio di solito anche nei montaggi video precedenti dei vari momenti della giornata.

l’entusiasmo per il luogo me ne aveva fatte fare un numero esuberante ed ho pensato che avrebbero rallentato troppo le riprese.

tuttavia credo che le inserirò nei post sinora pubblicati, distribuendole retrospettivamente nei punti che ho via via citato, in cui furono pubblicate anche nel secondo post visto sopra.

mi rendo conto ora che non c’è motivo al mondo per il quale non debba aggiungerle anche qui nei post distintamente, come ho fatto del resto anche per le gallerie fotografiche precedenti.

?ci sarà qualche ripetizione? sicuramente. ma ?cosa importa?

?non ci piace forse ascoltare anche due volte una musica che ci è piaciuta?

e ?dell’arte della variazione musicale che cosa pensate?

del resto, i grandi pittori del passato non si facevano scrupolo di ripetere lo stesso soggetto con piccole varianti; e ci sono pittori moderni che non fanno altro che riprodurre una idea di base con differenze sottili per tutta la vita.

e io ?perché dovrei farmi scrupolo di proporvi due volte delle belle foto?

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QUATTRO MURATORI

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GALLERIA FOTOGRAFICA DI HAMPI

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la serenità del tramonto sul fiume Tungabhadra o Pampa, ad Hampi. 4 giugno 2006 – 860

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[…] passo le ultime ore del pomeriggio nella valle scavata dal fiume […] , dove i roccioni che spezzano anche qui la corrente sono sovrastati da idoli e colonne e nascondono gli ultimi tempietti. […]

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https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/05/hampi-5-giugno-2006-mail/

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più in là, ma sul lato stesso del fiume dal quale osservo questa scena di pace, ci sono i ghat, cioè le gradinate che contornano dell’acqua sacra, sia quella del bacino di un tempio, oppure, come qui, o a Varanasi quelle di un fiume che è pure sacro, lì il Ganga, o Gange, come lo chiamiamo noi, qui l’antico Pampa. anche le montagne che attraversano la parte di penisola dell’India prendono il nome simile di Ghati, perché sono pensate come due immense gradinate sui lati opposti del paese, che discendono verso l’oceano, che è a sua volta sacro.

il carattere sacro di questo fiume è una mia illazione, non lo trovo scritto sulla guida che ho con me, ma che probabilmente avevo lasciato alla guesthouse in questa libera camminata, come cosa inutile. ma è confermato dalle parti scolpite di qualche masso con l’immagine di Ganesha, il dio della benevolenza, dalla testa di elefante, o dalla statua del toro sacro a Shiva che sovrasta la roccia più alta.

è Nandi, simbolo di purezza, e le sue quattro zampe rappresentano la Verità, la Rettitudine, la Pace e l’Amore.

anche se non sapevo ancora di questo valore simbolico della sua figura, questi erano i quattro sentimenti fondamentali che mi riempivano l’anima, mentre guardavo i ragazzetti che facevano il bagno tra i roccioni rosa e l’uomo che, dalla cima dei ghat, sopra i quali ero risalito, contemplava assorto il fiume.

in lui ritrovavo come un’immagine di me stesso in quel momento.

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commenti al post:

nadia_bi (Besucher)   2006-06-15 @ 00:22:45

bellissima l’ultima foto,comprendo il tuo entusiasmo di fronte a tanta bellezza.si sente il silenzio di quel posto che rigenera la mentenotte notte

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Bortocal   2006-06-15 @ 19:31:04

notte notte, – nadia. – … ma come? a quest’ora? dirai tu. – mi prenoto per piu` tardi, visto che vai a dormire sempre dopo di me. – :-))

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nadia_bi (Besucher)   2006-06-15 @ 22:56:11

prenotazione accettata.ma e` comodo cosi`..ti basta solo una prenotazione per questa sera o vuoi prenotare fino alle due proxxime settimane??abbiamo appunto una promozione italo/tedescanotte notte giorno giornokuss 

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Bortocal   2006-06-15 @ 23:05:48

io mi prenoterei per una vita intera (ops, per la parte che resta, non esageriamo), ma sono sicuro che non funzionerebbe. – spiegami meglio questa storia della promozione… – Kuss.

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nadia_bi (Besucher)   2006-06-15 @ 23:22:06

tt uguali quando c’e` una promozione…e` un ‘idea napoletana..[della serie inventiamoci il lavoro..invece di andare a rubare i portafogli ai turisti in india].prenoti le buone notte notte da inviare e qualcuno lo fa per te..e lo stesso vale per i giorno giorno..

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/482-06-hampi-vii-14-5-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-36/

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un ragazzetto cammina nudo sui ghat, con grande naturalezza, tra i suoi amici, e con la stessa naturalezza sua lo riprendo anche io da lontano, proprio per documentare la serenità di un luogo che non considera la nudità una colpa.

ma ora sono qui che temo che l’IA (Idiozia Artificiale) che setaccia i video di Youtube, mi scovi come potenziale pedofilo e mi mandi una nuova pericolosa sanzione di diffida.

ma è proprio mostrare la nudità innocente è cosa mostruosa, nella nostra cultura occidentale, che colpevolizza la nudità, a meno che serva alla pubblicità o al porno, cioè al denaro.

sono le sue radici ebraiche, travasate nel cristianesimo religione della colpa, per chi non lo volesse sapere, perché prima dell’ondata sessuofobica cristiana, il mediterraneo considerava manifestazione divina il sesso, in Siria ai santuari erano annessi i bordelli con le prostitute sacre, e qualcuno si sarebbe meravigliato che si potesse cons9iderare scandaloso il corpo umano in tutte le sue parti: perfino gli imperatori si facevano rappresentare pienamente nudi.

ecco perché, conosciuta l’India, si vorrebbe ritornare sanamente e innocentemente pagani e politesiti tolleranti di ogni manifestazione umana, come lì.

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ad ogni buon conto, per evitare guai, ho vietato il video ai minori di 18 anni, anche se secondo me nessun bambino dovrebbe restarne scandalizzato o peggio ferito; sono ben altri i video che devastano le loro menti e feriscono la loro psiche.

vorrei dire che perderò qualche clic, ma la cosa sarebbe addirittura grottesca, considerando che i miei video non raggiungono di solito neppure i 10 clic, salvo occasionali ed inspiegabili eccezioni.

vari visitatori dei templi di Vijayanagar. 4 giugno 2006 – 857

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[…] andateci [,ad Hampi].

fosse solo per vedere seduti su un sasso il geco prudente dalla testa rossa che sbuca accanto a voi. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/05/hampi-5-giugno-2006-mail/

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infatti, nonostante il titolo ambiguo del post e del video, e la foto di copertina scelta da Youtube per il video, i visitatori delle rovine attorno ad Hampi, a volerli chiamare così, che compaiono nelle riprese, sono appunto i gechi che le popolano, di vari colori, anche vivacissimi e strani, l’upupa e il falco che vola alto su di loro.

ci sono anche degli umani, d’accordo: sono i soliti indiani discreti e gentili; ma appaiono come un poco fuori posto, in mezzo ai templi abbandonati e alle rocce furiosamente rosa che li attorniamo.

è la natura che ha vinto su Vijayanagar, Città della Vittoria.

al punto tale che oggi si fa quasi fatica, qui, ad usarne il nome che suona paradossale.

e gli uomini stessi del luogo, che pure compaiono qua e là, sembrano una presenza quasi imbarazzante e un poco fuori posto.