il piccolo tempio di Ganesh e la statua del dio-uomo-leone Narasimha, a Vijayanagar. 5 giugno 2006 – 864

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se nella mia prima giornata ad Hampi mi ero affidato ad un libero vagare, senza indicazioni, tra le centinaia di templi di Vijayanagar, completamente assorto nelle libere ed indistinte emozioni che mi provocava la loro vista in un paesaggio tanto sconvolgente, nella seconda assumo di più il ruolo del turista diligente, che visita i luoghi distintamente più importanti, cercandoli per nome.

e a questo probabilmente mi spingeva anche il guidatore del tuctuc, assunto per mezza giornata, che mi portava nei luoghi canonici, altrimenti non raggiungibili nel poco tempo disponibile prima della partenza, considerando come sono sparsi in un’area immensa e che possono esserci chilometri tra l’uno e l’altro, e del resto io non avevo noleggiato una bicicletta, che mi avrebbe evitato questa forma di dipendenza, ma esposto al rischio di cadute, per la mia scarsa familiarità col mezzo.

qualche anno dopo avrei fatto una esperienza simile, dell’enorme estensione di un sito archeologico, a Bagan, nel Myanmar, tra le duemila pagode sopravvissute di una capitale altrettanto scomparsa, ma ancora più grande, ma immerse in una pianura più ampia e più piatta, tanto che per esplorarle avevamo noleggiato un paio di calessi tirati da cavalli, alcuni turisti con cui avevo amicizia sul posto, ed io.

ma, rivedendo le immagini di questo mio secondo giro del 5 giugno 2006 per la scomparsa capitale imperiale del Deccan centro-meridionale, mi rendo conto della eccezionalità assoluta di questa combinazione tra resti antichi e paesaggio.

è come se Roma, con i suoi monumenti antichi, fosse sorta in mezzo alle Dolomiti.

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ma questi monumenti, se riconosciuti ed individuati, riassumono anche la mitologia indiana.

ecco dunque, per esempio, nelle riprese che presento oggi, i luoghi dove si veneravano, ma si venerano ancora, due protagonisti del mondo fantastico della religione hindu, l’ultimo paganesimo ancora vivo del pianeta.

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prima riprendo il piccolo tempio a cui si arriva attraverso un affascinante percorso campestre e in cui è conservata una grandissima statua di Ganesh, di dimensioni che definirei egizie, considerando che è stata scolpita in un blocco di pietra di quasi 5 metri d’altezza.

Ganesh lo chiamiamo così, quasi per voglia di abbreviare, ma si dovrebbe dire Gaṇeśa, in sanscrito गणेश:

è il figlio della sposa di Shiva, Parvati, che lo creò dalla farina con cui si era cosparsa il corpo per un bagno e lo mise a guardia della casa, ma Shiva, tornando e trovandosi bloccato da uno, per lui sconosciuto, gli tagliò la testa, che venne poi sostituita da quella di un elefante, una volta riconosciuto il tragico errore.

il redivivo Ganesh, resuscitato dalla morte, fu messo a capo delle schiere celesti o, secondo un’altra versione, dei piccoli demoni deformi associati a Shiva.

in ogni caso, qualunque sia il suo ruolo, è il Signore degli Ostacoli e assieme Colui che li Rimuove, e nessun indiano inizia qualcosa di importante senza invocarlo.

Ganesh è il simbolo di chi ha scoperto la Divinità in se stesso e la capacità di distinguere la verità dall’illusione, il reale dall’irreale.

rappresenta il perfetto equilibrio tra l’energia maschile e femminile, tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; ben posso fare a meno di ricordare che in uno dei detti di Jeshuu trascritti dal fratello gemello Giuda, ritorna proprio questo concetto tipicamente indiano: […] quando farete del maschio e della femmina una cosa sola, cosicché il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più femmina, […] allora entrerete [nel Regno]. dal Detto 22.

così a volte è rappresentato come celibe: ama troppo sua madre: Portatemi una donna bella come lei e io la sposerò, ma la sua eventuale ambiguità sessuale è soltanto allusa.

poiché fu affidata a lui la trascrizione dell’immenso poema del Mahabharata sotto la dettatura del saggio Vyāsa, e durante l’operazione la penna si ruppe, ma la dettatura non poteva essere interrotta, allora si spezzò la zanna destra, per poterla usare per la scrittura.

decisamente obeso è il manifesto vivente della disponibilità sorridente verso gli altri: una specie di Cristo eternamente sorridente, che non è finito torturato e crocifisso per colpa degli uomini e non si è sacrificato per loro per tormentarli col rimorso del suo sangue.

ma questo è soltanto un debolissimo accenno all’insieme tumultuoso di storie che lo riguardano, spesso contraddittorie fra loro, e serve solo come piccola spiegazione del culto particolare dedicato a lui, che si percepisce anche nelle riprese.

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la seconda divinità a cui è dedicata una statua altrettanto imponente, che si trova però all’aperto, e la si vede alla fine del video, è il dio-uomo-leone Narasimha, che è un avatar di Vishnu.

cioè è la forma che questo dio assunse, per uccidere un demone, considerato invulnerabile, perché non poteva essere ucciso né di giorno né di notte, né da chi era all’interno del suo palazzo né da chi era fuori, e Narasimha lo uccise, superando i limiti del divieto che rischiava di rendere immortale quella potenza negativa, al crepuscolo, uscendo da una colonna, per poi divorarlo.

così la sua immagine è terribile, sì, e potrebbe spaventare, anzi dovrebbe, ma soltanto le potenze ostili all’umano, e il terrore che ispira è in realtà protettivo.

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queste informazioni potranno essere anche un poco tediose, anche qui sono soltanto sommarie, rispetto all’incredibile ricchezza di versioni differenti e di episodi collegati che le arricchiscono, in una conoscenza più completa, ma sono necessarie per cogliere il significato di quello che si sta vedendo.

sempre se non ci si vuole limitare all’aspetto puramente estetico di quello che qui si mostra da bravi turisti massificati.

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