Vijayawada: in tuc tuc verso Undavalli attraverso il Prakasam Barrage. 2 giugno 2006 – 813

sulla città di Vijayawada, in telugu విజయవాడ, che significa Luogo della Vittoria, butto giù un appunto il giorno che ci arrivo, il 2 giugno (ero ancora in una fase di crisi della scrittura e avevo sospeso i resoconti del viaggio):

Vijayawada.

la citta degli uomini cavallo.

spiegherò poi il motivo di questa strana espressione.

ecco di nuovo il resoconto nella mail del 4 giugno alla blogger nadia-bi del mio arrivo nella città, col resoconto di molti fatti che non trovano spazio nelle riprese, per la loro natura.

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[…] ho deciso che questa sara` una tappa molto breve e che non cerco neppure l’hotel, ma mi fermo alle retiring rooms, una istituzione indiana eccezionale, che mette a disposizione a scelta camerate, cabine o camere nelle principali stazioni per i viaggiatori frettolosi,

come me in questo caso.

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questa regione dell’Andra Pradesh mi sta stretta, tutto sommato:

non capisco perche’, ma la capitale [Hyderabad] era orrenda e nelle stesso tempo ipertecnologica e puerile, le campagne nello stesso tempo curate e vuote, non mi tornano i conti, la cultura molto scarsa, considerando le altre regioni viste.

ho capito oggi approfondendo sulla guida, perche’.

primo: lo stato e’ recente, artificiale, ottenuto 50 anni fa da un’azione non violenta conclusasi con la morte per fame a seguito di uno sciopero del cibo di protesta del padre dello stato,

che non era mai esistito come tale, ma era sempre stato dipendente da altri.

elemento di unificazione e’ stata questa lingua il telugu, che non conosce nessuno fuori di qui.

lo stato e’ nello stesso tempo ricco per l’agricoltura ma poverissimo.

per meglio dire la ricchezza e’ molto concentrata (nei centri urbani: queste citta deformi e consumiste), mentre il livello di reddito dei contadini e’ dei piu bassi dell’India.

la pratica dell’uccisione delle neonate se la famiglia non ha i soldi per la dote del matrimonio e’ ancora diffusa, dice la guida

(ahime’ non solo i comunisti in Cina uccidono i neonati o meglio le bambine, ma anche la democratica India).

eppure oggi trovero’ anche in giro molte bandiere rosse e manifesti del partito Comunista Indiano,

e nello stesso tempo questo e’ uno stato in cui la guerriglia antigovernativa e rivoluzionaria e’ ancora viva.

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insomma, ho razionalizzato oggi un disagio che avvertivo in modo oscuro, ma che mi impediva una vera soddisfazione nel mio viaggio.

comunque l’impatto con la citta`, prima ancora di sapere queste cose, e` scioccante.

appena scendo dal treno vengo assalito da un folla che vuole portarmi da qualunque parte purche` usi il loro mezzo, che qui non e` piu` il tuc tuc a motore (sono pochissimi), ma il riscio` a pedale.

vogliono a tutti i costi portarmi a un hotel, e per prezzi che mi vergogno a dire: 5 rupie, 8 centesimi di euro.

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motivo in piu` per affrontare l’ora di battaglia con la burocrazia indiana e farmi dare un cabina [nella stazione] (le camere sono tutte occupate):

ce l’ho il lucchetto per il bagaglio?

no, e alla fine metto il bagaglio sotto il letto, tanto non ho niente di prezioso con me

(stavo per dire: salvo me stesso, ma forse ci ripenso).

devo pero trovare una banca per cambiare altro denaro, dato che e` venerdi e Hyderabad ha intaccato quasi meta’ del mio budget.

un vecchio mi porta di qui e di la’, arrancato su strade crudelmente in lieve salita.

non tutte le banche cambiano gli euro.

bisogna andare un paio di km piu’ in la`.

il vecchio e` felice.

io meno.

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tutti gli impiegati pubblici indiani hanno imparato e mantengono lo stile coloniale imparato dagli inglesi.

ognuno che ha a che fare con loro diventa subito un paria da disprezzare e maltrattare.

l’impiegata [della banca] annoiata e carica di gioielli ogni singolo dito delle due mani mi fa compilare un modulo in telugu stretto!!!!

poi mi dice scocciata che devo portarle la fotocopia del passaporto.

mi mordo la lingua: nella banca non hanno una fotocopiatrice?

esco: il mio cavallo umano mi aspetta ansioso di aiutarmi.

mi guardo attorno in un mare di scritte con tutti i colori urlati dell’India, tutte in telugu sia nel lessico sia nell’alfabeto,

e come un uomo cavallo anch’io, ma schiumante di rabbia, salgo una strada dietro l’altra,

con la voglia di tornare invece indietro e di fare una piazzata: si tratta cosi un cliente?

finalmente il mio amico provvisorio mi indica trafelato il luogo dove una gentile e sacrificata ragazza fotocopia il mio documento prezioso.

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la signora della banca mi paga gli euro una cifra strabiliante rispetto all’aeroporto.

insomma ne ho presi di piu’ qui con 70 che all’aeroporto con 100.

cosa e’ successo al cambio?

semplicemente a Hyderabad – citta’ di napoletani, come ben dice Nadia – mi hanno fregato anche sul cambio.

sai la rovina del resto! qui mangi un primo (indiano!) con 15 cent.

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ho risolto il problema che mi ero creato per avere un problema e ora non mi resta che andare a quella che sembra la principale attrazione turistica della citta’. […]

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devo spiegare l’accenno di qui sopra al carattere artificiale dello stato dell’Andra Pradesh.

questo stato era stato formato poco dopo l’indipendenza separandolo dal Tamil Nadu che è il più meridionale ad est della penisola del Deccan, e vi era stato aggregato in seguito quello di Hyderabad col territorio circostante.

come ho già ricordato, questa era la situazione all’epoca del mio viaggio, cioè nel 2006, ma otto anni dopo, nel 2014, venne suddiviso in due stati differenti, il Telangana, con Hyderabad, in cui si era svolto fino a quel momento il mio viaggio, e quello che è oggi l’Andra Pradesh vero e proprio. per cui, nell’ottica di oggi, col mio trasferimento a Vijayawada mi sarei trasferito in uno stato indiano diverso, l’Andra Pradesh di oggi, che ha una superficie che è poco più di metà di quella dell’Italia e una popolazione di circa 50 milioni di abitanti.

un indice della sua povertà di allora sta forse nel fatto che nella sola città, che ha conosciuto uno sviluppo impetuoso negli ultimi vent’anni, con un raddoppio della popolazione, da 800mila a un milione e 700mila abitanti, vi erano, nel censimento del 2001, 250mila analfabeti, fra donne e uomini.

e credo che la terribile povertà attraverso cui passavo (e che le mie riprese documentano poco) avesse molto a che fare con il blocco della scrittura che mi aveva colpito proprio in corrispondenza con l’arrivo lì.

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Vijayawada ha tre motivi di interesse: il tempio di Kanaka Durga, poi la grande diga che forma il lago artificiale sulle cui rive sorge, e, nei dintorni, i templi scavati nella roccia di Undavalli, un suo sobborgo meridionale, aldilà della diga.

questi ultimi diventano la prima meta della mia giornata del 2 giugno 2006, e mi ci reco in tuctuc.

ecco meno di un minuto di riprese fatte in quel breve viaggio, e siccome il percorso si svolge attraverso la diga, ecco che questo diventa anche un video sulla diga, il Prakasam Barrage, e sulle belle vedute d’insieme di una parte della città, che da essa si colgono.

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