VIDEODIARIO del 3 giugno 2006. da Vijayawada a Kundapalli e ritorno – 845

ed ecco il videodiario vero e proprio del 3 giugno 2006, finalmente.

l’ho montato in questi giorni con le riprese, ma anche qualche foto inserita qua e là al posto giusto.

è la cronaca visiva di una giornata fuori programma, nata da un contrattempo, già raccontato: tutte occupate le cuccette del treno notturno, che mi sarebbe servito per andare ad Hampi, al centro della penisola indiana, nel nuovo stato del Karnataka, e non avevo voluto sostituirle con un autobus, che ci avrebbe messo molto di più a fare i quasi 650 km che la separano da Vijayawada, e sarei dovuto passare di nuovo per Hyderabad.

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della giornata faccio un riepilogo.

l’avevo occupata in mattinata con la visita improvvisata a Kundapalli, attirato dal suo forte segnalato dalla guida Lonely Planet come uno dei pochi punti di interesse dei dintorni.

il paese e la sua gente erano stati invece abbastanza interessanti, come esempio vivo e attuale dell’India rurale tradizionale.

poi, di ritorno nella città, eccomi nella vita movimentata del tempio della sua dea benefica e nemica dei demoni: questa, probabilmente, con i riti vagamente esorcistici con i quali lì ero stato introdotto ai culti induisti, aveva cacciato anche i miei del momento, che mi perseguitavano dall’inizio di questo viaggio.

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ed ora ecco dunque un po’ più di mezzora vorrei quasi dire di pellicola, ma suonerebbe troppo arcaico e oltretutto non è vero, non sono più neppure minuti di qualche fisico nastro:

sono avventure ed esperienze varie e diversamente coinvolgenti, a volte anche un poco traumatiche o strane, ma tutte autentiche, di una giornata comunque straordinariamente mossa e piena.

sono queste ore che, per paradosso, avevano cominciato a riconciliarmi con questo viaggio, fino ad allora vissuto con una vaga sofferenza di fondo, che probabilmente mi trascinavo dietro dal mio lavoro improbo e dalla mia vita troppo solitaria in Germania.

ma proprio qui a Kundapalli e Vijayawada il mio cuore un poco contratto aveva cominciato a sciogliersi e ad aprirsi nei contatti, sia pure effimeri, che l’India non risparmia mai al viaggiatore aperto a conoscerla.

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per questo vi invito ad immergermi con me nella sua vita così piena e rutilante, anche se solo per un breve tempo, che vi invito a strappare ad altre forme di dipendenza mediatica, se ne avete.

VIDEODIARIO fotografico del 3 giugno 2006. Vijayawada e Kundapalli – 844

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le riprese con cui è stato montato l’ultimo video erano chiaramente le ultime della giornata indiana del 3 giugno 2006, e a questo punto entra in gioco oramai, per una recente convenzione, il riepilogo finale: il videodiario dalla lunghezza di un cortometraggio, per chi volesse vederseli o rivederseli come una narrazione continua.

ma una specie di primo videodiario della giornata fu fatto già nel 2006, sul blog di allora, bortolindie, pochi giorni dopo la fine del viaggio, al rientro a Stuttgart, il 12 giugno.

era però soltanto fotografico, anzi fu definito Galleria fotografica, come se le foto fossero state appese sulle pareti per una mostra, ed era pensato come settimo capitolo di un libro immaginario che avrebbe raccolto i miei racconti di quel viaggio.

ora ho montato le foto di quel post in un video, aggiungendoci un commento musicale.

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ma dopo aver citato quel post soltanto fotografico, lo riproduco anche, con le sue foto e i commenti ricevuti allora.

voglio rendere immediatamente visibile, fra breve, la differenza tra il linguaggio della fotografia e quello delle immagini in movimento, che chiamerei cinema, se questo non sembrasse troppo presuntuoso.

le foto selezionano la realtà, la trasfigurano, fissandola negli scatti, in un modo che definirei quasi poetico; il cinema, come la prosa, la lascia scorrere davanti allo sguardo in un modo più vicino all’esperienza reale, ed è il piacere del racconto.

nessuno si meravigli dunque se questo videodiario fotografico sembrerà quasi il resoconto di una giornata diversa, quando, domani si potrà confrontarlo con quello ricavato dalle riprese video, e non soltanto perché alcune foto non sono state ancora mostrate durante i resoconti di alcuni momenti della giornata.

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GALLERIA FOTOGRAFICA DI KONDAPALLE

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GALLERIA FOTOGRAFICA DEL TEMPIO DI KANAKA DURGA A VIJAYAWADA

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commenti ricevuti allora:

nadia_bi   2006-06-12 @ 23:19:13

e` vero: gli indiani sono di una bellezza disarmante.. sia gli uomini che le donne..

pero` si legge nei loro occhi la loro sofferenza..,

sofferenza legata solo alla poverta` o ad una forma di incomunicabilita` cui li pone la loro religione?

va be’ che e` un tempio quello, un luogo di culto

e loro senz’altro hanno una profondita` e uno spessore diverso dal nostro..

ma credo che anche quando li hai fotografati sono rimasti immobili..

prima durante e dopo..

prova a fotografare uno scugnizzo napoletano!!

la foto nn la trovi dopo

[veramente nn trovi neanche la cam]..

ma questo e` un altro post!!

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Bortocal   2006-06-12 @ 23:49:05

si`, questo e` proprio il tempio nel quale sono uscito dalla mia crisi personale, con l’aiuto di una benedizione speciale di quel pretaccio barbuto in giallo e dei suoi scioglilingua che mi ha costretto a ripetere.

sto riflettendo su quello che tu leggi negli occhi degli indiani e ho riguardato le foto con i tuoi occhi.

perche` io non sapevo bene, prima, separare le foto da quel contesto di allegria gioiosa da cui la maggior parte di esse e` nata e quindi non ci vedevo quello che hai visto tu e che effettivamente  c’e`.

ora che mi ci fai pensare, la maggior parte di questi soggetti della foto, dopo avere tanto sorriso per chiedermi di fargliela, assumeva al momento dello scatto quella posa interiormente solenne, seria, a volte perfino un po’ rigida, che tu interpreti come tristezza.

io ci vedo qualcosa di diverso:

nel momento in cui l’indiano si fa fotografare compie un gesto che lo separa dalla sua cultura, nella quale l’essere fotografati non e` previsto

(e quindi neppure proibito, come invece nella cultura musulmana).

nello stesso tempo, dalla parte del fotografo c’e` una consapevolezza particolare che io ho riconosciuto proprio durante questo viaggio.

e cioe` che nella fotografia, come nella danza, nel teatro e nel cinema si usa il corpo (proprio o altrui) come strumento di espressione artistica.

questa fa della fotografia un’arte cosi` diversa dalla scrittura:

qui devo estrarre da me stesso e usare la mia mente,

li` uso per esprimermi l’espressione corporea altrui,

e per farlo devo entrare in relazione con la persona che ho davanti,

suscitare in lei quelle reazioni che voglio poi colga chi guardera`  quella foto.

fotografare una persona e` stato in India un rapporto sempre molto intenso, una relazione connotata da quella dimensione dell’erotismo che e` il piacere estetico.

ora gli indiani credo sentissero molto questo flusso di empatia che passava tra noi al momento dello scatto

e per rispondere alla mia richiesta dovevano abbandonarsi, col corpo e con la mente, a quella simpatia che il fotografarli esprimeva.

perche`, se loro ridevano nel chiedermi la foto, io ridevo molto nel concedergliela

(o anche, a volte, capricciosamente negargliela perche` quel particolare soggetto non mi diceva molto).

ecco perche`, secondo me, per reazione, a volte, all’ultimo momento il loro sguardo si velava, si fissava, si chiudeva in se stesso: per frenare quell’abbandono, che tuttavia – se guardi – non e` mai cancellato del tutto.

ecco quindi che questi volti dicono: si`, sono tuo adesso e lascio che tu ti serva di me per raggiungere quello scopo meraviglioso che e` di fissarmi per un momento, togliendomi dal flusso delle cose effimere di questo mondo, per regalarmi all’immortalita` almeno dell’immagine,

pero` sappi che mentre faccio questo, mentre quindi mi distacco dalle mie radici e dalla fede dei miei avi, io pero` a tutto questo credo, in questo mondo resto, il mio viso non potra`  essere del tutto tuo.

sugli scugnizzi napoletani non so: dovresti provare a fotografarne un po’ tu…

(parlo sul serio, sarebbe bello mettere a confronto qualche foto di bambino indiano e di scugnizzo napoletano: una bella idea per una mostra fotografica, per esempio).

grazie degli spunti, comunque: e` quello che serve un confronto cosi`.

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nadia_bi (Besucher)   2006-06-13 @ 12:48:55

ci penso..

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skizzo-LORIS-   2006-06-12 @ 23:28:24

Bentornato… bortocal….

quasi quasi ti invidio…

belle foto…

un saluto a presto….

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Bortocal   2006-06-12 @ 23:30:40

come “quasi, quasi”…?

mi aspetto di essere invidiato senza se e senza ma!

(con la fatica che ho fatto, me lo merito anche dopotutto)

bentrovato a te!

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FIRDIS   2006-06-13 @ 17:33:31

mi disse Maitreyee, in una delle nostre conversazioni timide e sconclusionate, ma ormai abbastanza confidenziali, dove io parlavo un inglese comico – “credi che io rida troppo??”

io le risposi di no, che ridere alle mie battute era anzi un complimento, e per me era bello vederla ridere.

Allora mi rispose “Mia madre dice che io rido troppo e che non sta bene ridere troppo”

ecco secondo me cosa si legge in queste espressioni:

una sorta di sorriso contenuto..

contenuto perche` non sta bene, e` sconveniente e maleducato.

Maitreyee pero’ qui non si teneva piu’ non poteva ce l’aveva troppo dentro la voglia di ridere.

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Bortocal   2006-06-13 @ 19:02:43

carissima Firdis,

e chi e`Maitreye?

ecco una bella curiosita`  che mi hai messo addosso.

cara Firdis, e adesso bisogna che tu entri in questo blog raccontandoci un po’ di piu` chi era Maitreye.

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FIRDIS   2006-06-13 @ 23:06:41

chi e` Maitreyee?

Ma e` una ragazza indiana!

di Calcutta.

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Bortocal   2006-06-13 @ 23:31:43

Firdis, tu mi trascuri.

non merito da te maggiore attenzione?

credi di avere soddisfatto tutte le mie curiosita`  su Maitreyee?

prenditi del tempo, ma con calma, ti prego, raccontaci meglio la sua storia.

gia` ce l’hai resa molto simpatica con un solo dettaglio, ora sviluppa qualcosa di lei che ci permetta di pensare che la abbiamo conosciuta anche noi, grazie a te.

ciao.

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nadia_bi (Besucher)   2006-06-13 @ 23:09:19

ehi firdis.. ma che fine hai fatto?? trova il modo per rientrare..

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FIRDIS   2006-06-14 @ 09:20:58

mi faccio desiderare un po’.

i panorami quasi alieni dal forte di Kondapalli – 833

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[…] mi portera’ […] fino agli spalti che si affacciano sulla pianura immensa

dove neppure piu si vede il capoluogo a 30 km di distanza. […]

e col cuore chiuso, uscito dal forte ho trovato per miracolo un tuc tuc che era salito fino a li per la piu lunga strada asfaltata

che ho poi percorso in un panorama meraviglioso sull’altro lato della valle,

un insieme di laghi e rocce bizzarre che non dimentichero`. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/479-06-su-vijayawada-vii-11-4-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-33/

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quei paesaggi non li ho ripresi (?perché?) e invece li ho purtroppo dimenticati.

mi restano soltanto le ultime immagini prese dal forte di Kondapalli: guardano alla pianura e mostrano un panorama che ha qualcosa di fiabesco, ma forse anche di terribile, quasi come una oscura profezia visiva:

nuvole lontane di polvere o di vapore, sollevate dal vento, ma rasoterra, sopra labirinti che sembrano fatti di sabbia e sono forse letti di strani corsi d’acqua prosciugati dalla siccità, e attendono il vicino monsone.

e più in lontananza si vedono appena i riflessi azzurri di laghi sopravvissuti alla calura evaporante.

se solo non vi fossero, in un angolo, alcune ciminiere fumanti, sullo sfondo, mi sembrerebbe di stare quasi sui bordi della affascinante caldera vulcanica di Bromo, in Indonesia, in un panorama reso inquietante da una catastrofe naturale solo di diversa origine.

visita guidata al forte di Kondapalli – 832

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è il ragazzo più grande dei due che mi fa da guida nel forte, che non ha magnificenze architettoniche dell’antico potere da esibire, è stato soprattutto un avamposto militare per controllare la pianura, ed ora il disfacimento del tempo l’ha ridotto quasi ovunque a confusa rovina.

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[…] mi portera’ per circa un’ora negli angoli piu disperati di questo percorso,

fino alla tana dei cobra,

fino alla cisterna verde marcio. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/12/471-kondapalle-vijayawada-vii-7-3-giugno-12-giugno-2006-bortolindie/

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la tana dei cobra è ben visibile nelle riprese: sono i buchi grossolani nel terriccio argilloso e secco, compatto.

e non avevo neppure ricordato, nel resoconto del 4 maggio, il passaggio entro qualche stanza oscura del forte, infestata da pipistrelli quasi invisibili, che stridevano per la nostra presenza nel buio, che era tale soltanto per noi.

quel ragazzo aveva capito bene quello che poteva piacermi di più del luogo; oppure il luogo stesso non aveva altro da offrire che l’immagine questa natura sovrastante ed ossessiva, nelle immagini, nello stridio continuo delle cicale, nella temperatura dell’aria assolata e fosca.

ma la forza suggestiva di questo percorso è stata proprio nella voce potente della natura, che ci ha continuamente avvolto da ogni parte.

il tutto in una solitudine quasi completa di ogni altra presenza umana, salvo quella che dei miei due provvisori compagni di viaggio, che dopo la mia partenza sarebbero rimasti in quel luogo che avrebbe potuto ricordare il baluardo sperduto del Deserto dei tartari di Buzzati, senza nessuna speranza di uscire dalla loro trappola esistenziale.

ed è stato così che alla fine ho trovato il forte di Kundapalli perfino più fascinoso della rigida fortezza di Golconda.

le rovine del forte di Kondapalli – 830

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[…] in fondo, in cima a una montagna (sembrano 70-80 metri metri di dislivello, ma mai fidarsi, alla fine scopriro’ che erano almeno 200) si vedono delle rovine che sporgono, poca roba,

ma che devo fare? ci arrivero’. […]

salgo lentamente la mia via crucis di pietroni, chiedendomi se non sono pazzo o imprudente a muovermi cosi.

in fondo ho addosso quel che qui potrebbe mantenere una famiglia per un paio d’anni e i morti di fame non mancano.

donne piegate in due scendono il sentiero che io salgo, piegate sotto carichi immensi di canne di bambu.

non ho il coraggio di fotografarle.

tre uomini mi fanno passare con un cenno.

a poco a poco le rovine ingigantiscono: sono veramente immense, cavoli, ecco perche` pensavo che la strada fosse tanto piu breve.

ecco l’ultima svolta, sono ormai in una ridotta altissima che sbuca in un piazzale davanti ad una fortezza a piu’ piani. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/12/471-kondapalle-vijayawada-vii-7-3-giugno-12-giugno-2006-bortolindie/

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la cronaca nella mail di due giorni dopo dà due giudizi contraddittori delle rovine del forte di Kondapalli: poca roba, quando le vedo ancora da lontano, dall’inizio della salita per arrivarci; veramente immense, poi, quando finalmente ci entro, ed esprime anche una certa meraviglia per il cambiamento di prospettiva.

tuttavia anche il secondo giudizio mostra una qualche reticenza, a considerarlo bene: parlare della loro grandezza è infatti un modo per non esprimere una valutazione estetica esplicita, che si sarebbe tradotta ancora in qualche riserva.

in effetti, anche adesso che riguardo le riprese, qui vedo soprattutto un mucchio di rovine malcurate e prive di quel riconoscibile disegno architettonico che era evidente nelle monumentali rovine di Golconda o nelle stupefacenti sculture che costellavano quello di Warangal.

quindi confermo una certa delusione, dal punto di vista strettamente estetico, perché non emerge qualcosa di particolarmente suggestivo da questo accumulo di pietrame.

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vi è una sola vistosa eccezione, che nel montaggio ho messo nella foto conclusiva, l’unica che ho scattato qui, perché effettivamente volevo conservare il ricordo di qualcosa che mi aveva dato una vera emozione.

ed è la foto che mostra un intrico di enormi radici che ha completamente inglobato le pietre collocate dall’uomo.

è un’incredibile metaforica dimostrazione della debolezza e fragilità umana a fronte delle forza della natura: un messaggio quasi filosofico.

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questa rimanda nella mia mente a qualche altra immagine simile, sempre scoperta nel mondo tropicale, in tempi successivi, ma in quello contiguo dell’Indocina:

la testa di Buddha inglobata da un albero in Thailandia, che avrei visto un anno dopo, ad Ayuthaya:

e l’incredibile e suggestiva avanzata della giungla dentro qualche città khmer in Cambogia, che mi avrebbe entusiasmato nel 2013.

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qui a Kondapalli, però, rimane solo accennata questa specie di discorso, che le piante ci fanno sulla nostra nullità rispetto a loro.

il senso dell’immensità della natura rimane piuttosto affidato al furioso frinire delle cicale in mezzo al quale si svolge la mia faticata ascesa nel caldo, su verso questo forte quasi solitario e alzato contro il cielo.

del resto maggio è un mese sconsigliatissimo per i viaggi in India perché è forse il momento nel quale le temperature diventano quasi insopportabili, e tanto più lo saranno adesso, dopo due decenni di ulteriore riscaldamento globale.

artigiani di Kondapalli e le loro sculture in legno – 828

[…] solo al fondo trovo due botteghe (ho detto due) dove due uomini stanno lentamente lisciando dei tronchetti di legno facendogli vagamente assumere una forma animale.

mi ricorda la barzelletta di Tognazzi sui boscaioli della Valtellina che da ogni tronco ricavavano uno stuzzicadenti a forza di lisciarlo.[…]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/12/471-kondapalle-vijayawada-vii-7-3-giugno-12-giugno-2006-bortolindie/

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a giudicare dalla guida della Lonely Planet, che usavo allora, e dalle informazioni che anche oggi si possono ricavare da internet, questo paesino è famoso quasi più per queste coloratissime piccole sculture in legno che per i resti del suo antico forte.

e sono, o erano, soprattutto usate come giocattoli per i bambini; oggi forse la loro funzione è diventata invece soprattutto estetica, per la loro bellezza e per la raffinatezza degli oggetti.

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le rapide riprese ci mostrano questo lavoro, incredibilmente paziente, e il risultato finale decisamente notevole di quest’arte, che procede più per levigazione che per intaglio violente.

l’immagine finale è raggiunta a partire dal suggerimento implicito contenuto nel frammento del legno su cui si lavora.

così, come piccoli modesti Michelangelo, anche gli artigiani di Kondapalli devono vedere già contenuta nel materiale che usano l’immagine di quello che ne estrarranno.

ma a forza di lima, non di scalpello; e in questo modo di operare io vedo qualcosa di tipicamente indiano.