altri rituali hindu nel tempio di Kanaka Durga a Vijayawada. 3 giugno 2006 – 840

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[…] nel tempio un santone grasso ributtante e vanitoso, che faceva i suoi riti guardando la videocamera per venire bene, alla fine mi ha cosparso la fronte di rosso

e mi ha fatto ripetere come un cretino delle formule magiche delle quali non capivo una parola

e con le quali avro` come minimo venduto l’anima al diavolo.

ma io ero felice, ero disteso.

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ed ecco che cosa la mia nuova voce interiore di neobattezzato indù ha cominciato a dirmi.

il problema non e` di imparare a morire, che stupidaggine occidentale.

la morte e la vita sono una cosa sola.

se impari a vivere impari anche a morire, non c’e’ niente di speciale nella morte.

impara a vivere, a lasciarti attraversare, a non avere desideri tuoi, ma a vivere i desideri, a non avere amori tuoi, ma a vivere l’amore, impara a sentire il respiro, ad ascoltare la fame, ad essere curioso senza arroganza, a volere senza volere, a volere quello che la vita vuole, quello che il mondo vuole, ad essere apparenza.

impara. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/479-06-su-vijayawada-vii-11-4-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-33/

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la battuta contro chi pensa che in India si venga per imparare a morire è scritta pensando soprattutto a Gozzano, che qui venne appunto con questo scopo segreto, nel 1914, malato di tubercolosi, e lo scrisse alla fine dei suoi resoconti indiani, che poi cercò di rimettere insieme in un libro, ma senza riuscirci, perché la malattia lo uccise nel 1916 mentre ci stava lavorando, e aveva soltanto 33 anni.

è un po’ crudele dunque questa mia polemica con lui: bisognerebbe averla vissuta questa condizione di giovane condannato a morte.

erano le riflessioni che suscitava in lui la visita alla Benares di allora, la Varanasi di oggi, dove gli hindu venivano e vengono ancora a morire e a farsi bruciare come cadaveri sulla riva sacra del Gange.

e anche Pasolini conclude con le stesse immagini dei roghi funerari sulle rive del grande fiume sacro il suo L’odore dell’India.

ma Varanasi a me non farà tutta questa impressione lugubre tre anni dopo, quando la visiterò, in occasione dell’eclisse totale di sole del 2009: sarà per me la città vitale dei tessitori di seta e delle festa incredibile di centomila persone che si immergevano cantando nel fiume dopo che il sole ritornò a brillare, ponendo fine a quell’effimera notte di sei minuti.

così l’India resta per me la terra del trionfo disperato della vita, non riesco a collegarla ad una tetra immagine di morte.

anzi trovo che sia proprio il contravveleno contro questa idea negativa che ne ha l’Occidente, ma l’India no:

l’India la considera quasi una festa, ed ogni volta che ho visto qualche rito funebre lì, la gente cantava, ma con gioia, il momento della liberazione dai dolori del corpo.

in questo solo senso un occidentale dovrebbe venire in India per imparare a morire.

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mi dispiace davvero che manchino le riprese del rito che qui immagino che mi veda battezzato come hindu, però la cinepresa mi ha regalato queste ulteriori immagini delle cerimonie sacre e delle giaculatorie che il sacerdote grasso e barbuto ha recitato quasi per mio esclusivo diletto.

è evidente che non solo il mio occhio guarda curioso, ma il mio cuore partecipa; così spero che si trasferisca, anche a chi guarderà il mio povero video, una parte del benessere mentale, che i riti hindu distillano in me.

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