VIDEODIARIO dell’1 giugno 2006, Ramappa e Warangal. il resoconto, scritto il 4, che cambia alcune carte in tavola – 810

.

quindi, come già ho accennato, ho scoperto che il silenzio sulla giornata dell’1 giugno fu soltanto momentaneo.

ci fu un resoconto per mail, all’amica di blog nadia_bi, che poi ne avrebbe fatto un post (forse) per il blog di gruppo noiweb, ma soltanto tre giorni dopo, quando ruppi questo silenzio stampa, a volerlo chiamare così, così strano per me, che mi aveva colpito proprio alla fine del mio soggiorno a Warangal, come ho spiegato alla fine di questo post: da Warangal al tempio di Ramappa: bus e tuctuc. 1 giugno 2006 – 791.

ma per qualche disguido questa mail non venne ripubblicata nel punto giusto, dieci anni dopo, quando riorganizzai tutta la mia dispersa produzione blog; raccolsi altre mail del 4 giugno, https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/04/hampi-4-giugno-2006-mail/, ma questa mi sfuggì.

l’ho ritrovata soltanto adesso, ripubblicata, dopo il rientro in Germania, qui: a Nadia-bi. 4 giugno. [VII, 10]. 13 giugno 2006 – bortolindie 32 – 499, con qualche fotografia (che io ho già inserito in questi giorni nei montaggi video), e in questa forma la ripropongo oggi.

.

a ennebbi 4 giu 2006, 16:38

[. . .] dopo questa mail di tre giorni fa dovrei scrivere altre tre mail intere stasera, tanto lo so che se non scrivo subito poi il 90% delle sensazioni si perdono.

non e’ poi detto che questo sia male, del resto.

[. . .]

ho deciso di fermarmi in questo borgo rurale di 800.000 abitanti [Warangal] un’altra giornata intera, che ho dedicato nell’ordine:

a) ad alcune riflessioni sull’India

b) ad una escursione e ritorno la mattina

c) ad una visita locale al tempio dei mille pilastri

d) al barbiere.

[. . .]

la mia prima riflessione sull’India sta nel fatto che mi rendo acutamente conto che questa parte (che dovrebbe essere la conclusiva) del mio libretto sulle Indie non decolla e non trova un centro.

sono soffocato dal senso del gia’ visto e del gia vissuto: inutile che ridescriva cose alle quali al terzo viaggio in meno di un anno mi sono gia abituato e che non mi dicono piu nulla.

ora, o io ho qualcosa di nuovo da dire sull’India oppure e’ meglio che taccia: non ha senso scrivere un resoconto di viaggio fine a se stesso.

quindi sono molto incavolato con me stesso e su questo viaggio che si sta rivelando inutile (ansia da prestazione): invece di godermi la “vacanza”, parola che da sola mi fa orrore (basta pensare che significa “mancanza”, voglio mettere a frutto il mio viaggiare.

infatti, come gia detto, per me, Nadia, viaggiare e’ peregrinare, cioe’ uscire da me stesso e percorrere l’infelicita’, come dice il nome: peregrinus e’ colui che si fa sofferente attraversando le cose.

ma insomma, e’ verso sera che mi viene in mente la spiegazione che un poco mi tranquillizza: il mio viaggio in India era iniziato (se si legge la sua prima parte) come viaggio della speranza in un mondo che fosse oltre l’integralismo e sapesse far convivere le religioni.

da questo punto di vista il viaggio ha gia’ raggiunto il suo risultato e sia pure in modo parziale, come dimostra la parte 5 sul viaggio di dicembre-gennaio, mostra l’India come una specie di laboratorio valido di questa tolleranza, ma anche come una possibile incubatrice di una cultura umana diversa, meno aggressiva e piu’ rispettosa della natura.

il fatto e’ – mi rendo conto stasera – che intanto, facendo il blog, il mio punto di vista e’ totalmente cambiato e il problema principale adesso, che assorbe l’altro e lo determina, e’ quello della “fine del mondo”, e’ quello dell’esplosione del pianeta sovrappopolato e iperconsumista.

l’India e’ ancora un buon luogo di osservazione anche per questo problema, ma non ha la risposta, perche’ la risposta non c’e’ da nessuna parte.

qui il controllo della nascite neppure e’ stato tentato con i metodi violenti della Cina, e la popolazione semplicemente esplode da se’, niente puo fermare la moltiplicazione, non c’e’ soluzione.

quindi per forza il mio pensiero gira a vuoto.

[. . .]

la mattina sono andato con un triciclo a motore e un ragazzo molto simpatico che ha portato con se un amico a una localita molto piacevole.

questo stato e’ davvero rurale: la sua campagna e sconfinata e neppure si vedono molti villaggi fuori dai grandi centri. sono cosi piccoli che si confondono nella vegetazione.

qui ci spingiamo per strade sempre piu dissestate fino a costeggiare un grande lago artificiale costruito gia nel medioevo e accanto alla diga sta uno dei templi piu antichi dell’India, in realta proprio piccolino, e soprattutto molto basso, ma decorato follemente, come se tutte le energie fossero state concentrate nella scultura.

il tempio, che ha un pavimento stranissimo di lastre inclinate e’ ancora in restauro: sotto un sole implacabile i muratori attendono sorridendo di essere ripresi con il secchio sulle spalle.

cerchiamo da mangiare, ma il locale non serve nulla.

e l’occasione di rendersi conto quante altre strutture sacre in rovina siano sparse attorno al lago ventilato e fresco.

di la’, il mio autista mi mostra qualcosa che si intravede tra gli alberi, e’ il suo villaggio.

[. . .]

torniamo, riattraversiamo l’immensa Warangal, ma mi faccio deporre a 4 km dalla mia pensione al tempio dei mille pilastri.

che esagerazione: i pilastri sono solo 20 o 30 e questo tempio e’ una pallida imitazione di quello visto la mattina, per di piu’ immerso in una periferia urbana.

anche se faccio qualche amicizia questa si conclude a mangiare assieme poco dopo il mango venduto in mezzo alla polvere della strada.

e qui devo fare una fondamentale lode del mango indiano, come delle banane indiane o di qualunque altro frutto tropicale indiano.

tutti infatti a noi in Europa arrivano per ovvie ragioni un po’ acerbi.

il mango vero si apre sotto i denti come si sbuccia una banana quasi, la buccia si stacca facilmente tenendo attaccata solo un poco di polpa. la polpa gialla e succosa e’ morbidissima e praticamente gia quasi sciolta in succo, ti cade dalla bocca golosa e ti cola in gola, dolcissima e profumata.

vicino al venditore sul bordo sabbioso della strada un rubinetto per lavarsi.

[. . .]

a questo punto io mi immergo nei vicoli dietro il tempio, da solo, attratto dalle solite rocce misteriose e inaccessibili, lisce, ma sovrastate da segnali sacri.

inutile chiedere la strada, nessuno capisce. per loro e’ gia lingua straniera l’hindi, figurarsi, ma vengo adottato tra gli altri da una famiglia, 12 figli, sono quasi tutti li’, alcuni di una bellezza stupefacente: un paio di bambine luminose come la notte indiana; due ragazzi che trafiggono con occhi densi di vitalita’ e di speranza.

che belli gli indiani, e il loro segreto e’ la poverta’.

che dolci gli indiani, che non si aspettano di essere salutati e per i quali e’ un dono un cenno di saluto che ricambiano con amore.

[. . .]

solo le mie guide improvvisate potevano condurmi dove volevo andare: quelle pitture bianche in alto sulla parte rocciosa liscia. si puo’? beh, se qualcuno le ha fatte le avra’ pur fatte per qualcosa.

superiamo il bordo del borgo stracolmo di rifiuti e di maialetti e altri animali da cortile

e cominciamo a salire tra i roccioni.

i due ragazzetti mica si rendono conto che ho quasi sessant’anni e le gambe da trattare con piu prudenza di loro e mi danno il buon esempio senza risparmio, al massimo allungano le braccia per sostenermi, ma io mi offendo e rifiuto, anche se ogni tanto devo fermarmi a riprendere fiato.

ehi, ragazzi, ma questa praticamente e’ una ferrata senza ferri!

ogni tanto mi chiedo come faro a tornare giu, ma insomma se salgo ci sara anche un modo per scendere no?

ecco, eccoci arrivati ad un punto in cui la parete si inclina e diventa semiorizzontale, li ci sta un abbozzo di idolo colorato, da li, boccheggiando sull’orlo del collasso, mi riprendo lentamente guardando il tramonto sulla citta sottostante.

di fianco, separate da un dirupo, i ragazzetti mi mostrano le capre selvatiche che sono alla nostra altezza su alcuni spuntoni e compaiono lentamente a turno come a darci un’occhiata.
piu’ tardi arriva anche una scimmia, che dopo averci dato un’occhiata indifferente, ci sfila dignitosa davanti a due metri di distanza e poi scompare dalla stessa parte delle capre.

la discesa la faccio con prudenza un po’ ridicola se non fosse perche’ ho i sandali autoctoni di cammello di 15 anni fa, prodotto tuareg autentico: pelle di cammello inchiodata su copertoni di gomma ritagliati, ma purtroppo gomma liscia e un po infida.

insomma scendo col culo sulla pietra appoggiandomi agli accenni di gradini scavati nella pietra dai monaci antichi il meno possibile, considerando quanto sono inclinati e scivolosi (e sotto mi sta proprio un piccolo abisso che all’inizio e’ di 70-80 metri buoni).

insomma, eccomi salvo e soddisfatto in fondo alla mia piccola impresa.

[. . .]

voglio andare alla piscina dove si fa il bagno? mi chiedono i miei piccoli amici. come no?

la strada e’ molto piu facile, e corre piana sul lato gia in ombra della montagna. donne passano nobilissime in sari variopinti portano grandi vasi metallici d’acqua sulla testa,

ai lati c’e’ un po’ di fango in cui sguazzano bufali e in fondo ecco profilarsi una diga alta contornata in sommita’ da teste, dalla quale vengono gia le grida.

due salti, prima di essere su e vedere il grande bacino, quasi un lago vero e proprio dove si tuffano i ragazzetti a fianco delle immondizie.

di lassu’ deve essere piu bello dico, si’ , ma li’ si paga.

[. . .]

finisce il tramonto e ci lasciamo, non e’ molto facile trovare un triciclo per tornare, ma alla fine sono accolto come quinto e depositato davanti alla stazione.

il tempo di dissetarmi, di lasciare i bagagli e di ridiscendere dal barbiere.

e’ tipico in molti miei viaggi il momento in cui io mi taglio capelli e soprattutto la barba.

il taglio della barba mi restituisce il mio viso un po’ ridicolo e storto per la frattura nasale che mi sono causato da bambino e per la quale non venni curato ma solo picchiato per la mia imprudenza.

il naso rimasto storto quasi come quello di quell’attore di Pupi Avati mi ha provocato una certa asimmetria nello sviluppo della faccia e soprattutto problemi di respirazione che si stanno aggravando.

ma il barbiere mica lo sa di queste mie cose: e’ felice di avere un cliente bianco e lo dimostra curando ogni mio aspetto.

in pochi momenti due corpi maschili sono cosi a lungo a contatto come quando si va dal barbiere e io gia conosco questa cura orientale del corpo maschile da parte di un uomo, che e’ sconosciuta in occidente.

momento culminante e’ la ripetizione locale del rito del massaggio della testa, una cura quasi violenta di picchiettii e scrocchi, una energica rituffata di sangue e soprattutto i mie capelli ridiventati normali.

infatti non vi ho ancora detto che per via del fatto che la sacca era stata preparata a gennaio, lo sciampo (mi piace scriverlo cosi) e ancora quello dell’etiopia e mi ha reso in questi primi giorni un Bortocal completamente riccio.

[. . .]

il resto della notte, in parte improvvisamente buia per una mancanza di corrente, e dedicata alla ricerca di internet, ma Prince Net, dove ero stato ieri, e’ chiuso, il concorrente a fianco mi estenua in una attesa di un’ora dopo la quale accedo ad una rete del tutto non funzionante. un altro internet cafe lo avevo visto tornano col tuctuc non lontano, ma il mio errato orientamento mi fa disperdere ostinato in un quartiere di sarti e quando finalmente arrivo e sono quasi le dieci, la motivazione e finita sotto i piedi.

giusto il tempo per tornare alla mia cuccia, dove scopro che le formiche rosse hanno scoperto i miei residui cantuccini di Siena nella borsa e di crollare fino a domattina.

(il seguito alla prossima mail).

madonna mia, qui mi stanno mangiando vivo le zanzare, se becco la malaria sappiate che e’ merito vostro.

. . . . . . . . .

servirebbe un errata corrige allora, a quanto già pubblicato su questa giornata a Warangal dell’1 giugno:

i panorami di Warangal non furono presi, come credevo, dal lato meridionale della collina del Fort, ma da un’altura ben più scoscesa, quattro chilometri più in là, vicina al Tempio dei Quattro Pilastri.

dunque il lago che ripresi era effettivamente il Badrakhali, come dubitavo.

altre differenze riguardano l’ordine di alcune azioni, che sono state ricostruite in maniera non troppo corrispondente ai fatti anche nei montaggi video.

ma effettivamente, in generale, qui la narrazione acquista tutto il maggior rilievo dato da una memoria molto più precisa.

ma non procedo a rettifiche nei post che ci siamo lasciati alle spalle: comunque sarebbe troppo complicato rimontare tutti i video secondo la sequenza esatta e le collocazioni descritte qui sopra; ci rinuncio e monto la sintesi finale della giornata semplicemente congiungendo fra loro i video già pubblicati.

e pazienza se il risultato finale non è del tutto aderente alla realtà dei fatti…

Lascia un commento