VIDEODIARIO del 3 giugno 2006. da Vijayawada a Kundapalli e ritorno – 845

ed ecco il videodiario vero e proprio del 3 giugno 2006, finalmente.

l’ho montato in questi giorni con le riprese, ma anche qualche foto inserita qua e là al posto giusto.

è la cronaca visiva di una giornata fuori programma, nata da un contrattempo, già raccontato: tutte occupate le cuccette del treno notturno, che mi sarebbe servito per andare ad Hampi, al centro della penisola indiana, nel nuovo stato del Karnataka, e non avevo voluto sostituirle con un autobus, che ci avrebbe messo molto di più a fare i quasi 650 km che la separano da Vijayawada, e sarei dovuto passare di nuovo per Hyderabad.

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della giornata faccio un riepilogo.

l’avevo occupata in mattinata con la visita improvvisata a Kundapalli, attirato dal suo forte segnalato dalla guida Lonely Planet come uno dei pochi punti di interesse dei dintorni.

il paese e la sua gente erano stati invece abbastanza interessanti, come esempio vivo e attuale dell’India rurale tradizionale.

poi, di ritorno nella città, eccomi nella vita movimentata del tempio della sua dea benefica e nemica dei demoni: questa, probabilmente, con i riti vagamente esorcistici con i quali lì ero stato introdotto ai culti induisti, aveva cacciato anche i miei del momento, che mi perseguitavano dall’inizio di questo viaggio.

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ed ora ecco dunque un po’ più di mezzora vorrei quasi dire di pellicola, ma suonerebbe troppo arcaico e oltretutto non è vero, non sono più neppure minuti di qualche fisico nastro:

sono avventure ed esperienze varie e diversamente coinvolgenti, a volte anche un poco traumatiche o strane, ma tutte autentiche, di una giornata comunque straordinariamente mossa e piena.

sono queste ore che, per paradosso, avevano cominciato a riconciliarmi con questo viaggio, fino ad allora vissuto con una vaga sofferenza di fondo, che probabilmente mi trascinavo dietro dal mio lavoro improbo e dalla mia vita troppo solitaria in Germania.

ma proprio qui a Kundapalli e Vijayawada il mio cuore un poco contratto aveva cominciato a sciogliersi e ad aprirsi nei contatti, sia pure effimeri, che l’India non risparmia mai al viaggiatore aperto a conoscerla.

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per questo vi invito ad immergermi con me nella sua vita così piena e rutilante, anche se solo per un breve tempo, che vi invito a strappare ad altre forme di dipendenza mediatica, se ne avete.

VIDEODIARIO fotografico del 3 giugno 2006. Vijayawada e Kundapalli – 844

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le riprese con cui è stato montato l’ultimo video erano chiaramente le ultime della giornata indiana del 3 giugno 2006, e a questo punto entra in gioco oramai, per una recente convenzione, il riepilogo finale: il videodiario dalla lunghezza di un cortometraggio, per chi volesse vederseli o rivederseli come una narrazione continua.

ma una specie di primo videodiario della giornata fu fatto già nel 2006, sul blog di allora, bortolindie, pochi giorni dopo la fine del viaggio, al rientro a Stuttgart, il 12 giugno.

era però soltanto fotografico, anzi fu definito Galleria fotografica, come se le foto fossero state appese sulle pareti per una mostra, ed era pensato come settimo capitolo di un libro immaginario che avrebbe raccolto i miei racconti di quel viaggio.

ora ho montato le foto di quel post in un video, aggiungendoci un commento musicale.

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ma dopo aver citato quel post soltanto fotografico, lo riproduco anche, con le sue foto e i commenti ricevuti allora.

voglio rendere immediatamente visibile, fra breve, la differenza tra il linguaggio della fotografia e quello delle immagini in movimento, che chiamerei cinema, se questo non sembrasse troppo presuntuoso.

le foto selezionano la realtà, la trasfigurano, fissandola negli scatti, in un modo che definirei quasi poetico; il cinema, come la prosa, la lascia scorrere davanti allo sguardo in un modo più vicino all’esperienza reale, ed è il piacere del racconto.

nessuno si meravigli dunque se questo videodiario fotografico sembrerà quasi il resoconto di una giornata diversa, quando, domani si potrà confrontarlo con quello ricavato dalle riprese video, e non soltanto perché alcune foto non sono state ancora mostrate durante i resoconti di alcuni momenti della giornata.

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GALLERIA FOTOGRAFICA DI KONDAPALLE

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GALLERIA FOTOGRAFICA DEL TEMPIO DI KANAKA DURGA A VIJAYAWADA

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commenti ricevuti allora:

nadia_bi   2006-06-12 @ 23:19:13

e` vero: gli indiani sono di una bellezza disarmante.. sia gli uomini che le donne..

pero` si legge nei loro occhi la loro sofferenza..,

sofferenza legata solo alla poverta` o ad una forma di incomunicabilita` cui li pone la loro religione?

va be’ che e` un tempio quello, un luogo di culto

e loro senz’altro hanno una profondita` e uno spessore diverso dal nostro..

ma credo che anche quando li hai fotografati sono rimasti immobili..

prima durante e dopo..

prova a fotografare uno scugnizzo napoletano!!

la foto nn la trovi dopo

[veramente nn trovi neanche la cam]..

ma questo e` un altro post!!

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Bortocal   2006-06-12 @ 23:49:05

si`, questo e` proprio il tempio nel quale sono uscito dalla mia crisi personale, con l’aiuto di una benedizione speciale di quel pretaccio barbuto in giallo e dei suoi scioglilingua che mi ha costretto a ripetere.

sto riflettendo su quello che tu leggi negli occhi degli indiani e ho riguardato le foto con i tuoi occhi.

perche` io non sapevo bene, prima, separare le foto da quel contesto di allegria gioiosa da cui la maggior parte di esse e` nata e quindi non ci vedevo quello che hai visto tu e che effettivamente  c’e`.

ora che mi ci fai pensare, la maggior parte di questi soggetti della foto, dopo avere tanto sorriso per chiedermi di fargliela, assumeva al momento dello scatto quella posa interiormente solenne, seria, a volte perfino un po’ rigida, che tu interpreti come tristezza.

io ci vedo qualcosa di diverso:

nel momento in cui l’indiano si fa fotografare compie un gesto che lo separa dalla sua cultura, nella quale l’essere fotografati non e` previsto

(e quindi neppure proibito, come invece nella cultura musulmana).

nello stesso tempo, dalla parte del fotografo c’e` una consapevolezza particolare che io ho riconosciuto proprio durante questo viaggio.

e cioe` che nella fotografia, come nella danza, nel teatro e nel cinema si usa il corpo (proprio o altrui) come strumento di espressione artistica.

questa fa della fotografia un’arte cosi` diversa dalla scrittura:

qui devo estrarre da me stesso e usare la mia mente,

li` uso per esprimermi l’espressione corporea altrui,

e per farlo devo entrare in relazione con la persona che ho davanti,

suscitare in lei quelle reazioni che voglio poi colga chi guardera`  quella foto.

fotografare una persona e` stato in India un rapporto sempre molto intenso, una relazione connotata da quella dimensione dell’erotismo che e` il piacere estetico.

ora gli indiani credo sentissero molto questo flusso di empatia che passava tra noi al momento dello scatto

e per rispondere alla mia richiesta dovevano abbandonarsi, col corpo e con la mente, a quella simpatia che il fotografarli esprimeva.

perche`, se loro ridevano nel chiedermi la foto, io ridevo molto nel concedergliela

(o anche, a volte, capricciosamente negargliela perche` quel particolare soggetto non mi diceva molto).

ecco perche`, secondo me, per reazione, a volte, all’ultimo momento il loro sguardo si velava, si fissava, si chiudeva in se stesso: per frenare quell’abbandono, che tuttavia – se guardi – non e` mai cancellato del tutto.

ecco quindi che questi volti dicono: si`, sono tuo adesso e lascio che tu ti serva di me per raggiungere quello scopo meraviglioso che e` di fissarmi per un momento, togliendomi dal flusso delle cose effimere di questo mondo, per regalarmi all’immortalita` almeno dell’immagine,

pero` sappi che mentre faccio questo, mentre quindi mi distacco dalle mie radici e dalla fede dei miei avi, io pero` a tutto questo credo, in questo mondo resto, il mio viso non potra`  essere del tutto tuo.

sugli scugnizzi napoletani non so: dovresti provare a fotografarne un po’ tu…

(parlo sul serio, sarebbe bello mettere a confronto qualche foto di bambino indiano e di scugnizzo napoletano: una bella idea per una mostra fotografica, per esempio).

grazie degli spunti, comunque: e` quello che serve un confronto cosi`.

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nadia_bi (Besucher)   2006-06-13 @ 12:48:55

ci penso..

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skizzo-LORIS-   2006-06-12 @ 23:28:24

Bentornato… bortocal….

quasi quasi ti invidio…

belle foto…

un saluto a presto….

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Bortocal   2006-06-12 @ 23:30:40

come “quasi, quasi”…?

mi aspetto di essere invidiato senza se e senza ma!

(con la fatica che ho fatto, me lo merito anche dopotutto)

bentrovato a te!

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FIRDIS   2006-06-13 @ 17:33:31

mi disse Maitreyee, in una delle nostre conversazioni timide e sconclusionate, ma ormai abbastanza confidenziali, dove io parlavo un inglese comico – “credi che io rida troppo??”

io le risposi di no, che ridere alle mie battute era anzi un complimento, e per me era bello vederla ridere.

Allora mi rispose “Mia madre dice che io rido troppo e che non sta bene ridere troppo”

ecco secondo me cosa si legge in queste espressioni:

una sorta di sorriso contenuto..

contenuto perche` non sta bene, e` sconveniente e maleducato.

Maitreyee pero’ qui non si teneva piu’ non poteva ce l’aveva troppo dentro la voglia di ridere.

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Bortocal   2006-06-13 @ 19:02:43

carissima Firdis,

e chi e`Maitreye?

ecco una bella curiosita`  che mi hai messo addosso.

cara Firdis, e adesso bisogna che tu entri in questo blog raccontandoci un po’ di piu` chi era Maitreye.

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FIRDIS   2006-06-13 @ 23:06:41

chi e` Maitreyee?

Ma e` una ragazza indiana!

di Calcutta.

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Bortocal   2006-06-13 @ 23:31:43

Firdis, tu mi trascuri.

non merito da te maggiore attenzione?

credi di avere soddisfatto tutte le mie curiosita`  su Maitreyee?

prenditi del tempo, ma con calma, ti prego, raccontaci meglio la sua storia.

gia` ce l’hai resa molto simpatica con un solo dettaglio, ora sviluppa qualcosa di lei che ci permetta di pensare che la abbiamo conosciuta anche noi, grazie a te.

ciao.

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nadia_bi (Besucher)   2006-06-13 @ 23:09:19

ehi firdis.. ma che fine hai fatto?? trova il modo per rientrare..

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FIRDIS   2006-06-14 @ 09:20:58

mi faccio desiderare un po’.

la televisione a Vijayawada su Vijayawada. 3 giugno 2006 – 843

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[…] sono tornato alla stazione in un autobus sovraccarico di pellegrini.

non c’e’ posto [sul treno], adesso e’ il 19esimo [della lista d’attesa]. riprovi alle 18,30.

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tranquillo mi sono seduto a leggere i miei schifosissimi vangeli apocrifi. […]

[il giudizio va riferito non a questi vangeli in se stessi, come sembrerebbe dalla frettolosa espressione, ma alla qualità dell’edizione Einaudi dei medesimi, che avevo con me, giudicata scadente già in un giudizio precedente.

seguono alcune diffuse considerazioni sul tema che mare di fesserie si e` stati capaci di inventare attorno alla figura di quel povero cristo!, che qui trascuro come non pertinenti, ma chi volesse le trova nel post originario, al link qui sotto, o nella nuova edizione del primo volume dei miei studi sulle origini cristiane, che a breve conto di ripubblicare su Amazon]

[…] beh, in ogni caso era bello vedere che cosa avrebbe fatto il caso di me.

alle 18,30 il caso aveva deciso di darmi un posto sul vagone sleeper e di farmi partire. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/479-06-su-vijayawada-vii-11-4-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-33/

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notare bene che quel benedetto caso mi aveva fatto anche scegliere quella volta di dormire nella retiring room della stazione ferroviaria di Vijayawada, così che l’andarivieni con la biglietteria, per verificare se si era liberato un posto per il viaggio notturno, si riduceva a pochi metri, dalla camerata al primo piano all’atrio della stazione.

inoltre la durata del mio soggiorno in quella camerata non aveva obblighi di check-out entro un certo orario, e quindi la scelta si era rivelata provvidenziale e quasi predestinata.

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questo video sugli ultimi momenti della giornata sarà sicuramente sorprendente, per chi si è abituato ai miei precedenti, perché è completamente diverso dai soliti: riprende alcune brevi immagini di Vijayawada, che passano ad un apparecchio televisivo, la cui collocazione non è meglio precisata.

montando il video, ho pensato in un primo momento che fosse in un internet cafè, dove ero solito concludere dopocena le mie scorribande, in quelle mie intense giornate indiane, e quindi le ho fatte precedere da un fermo immagine della mattinata che ne mostra uno, e alla fine ho dato al video un titolo adeguato.

ma se c’è una cosa che risulta chiara da questa cronaca, che ho appena citato, come anche dal resto della documentazione arraffabile in qualche maniera, è che quella sera non ebbi il tempo di andarci, proprio per quel che ho raccontato qui sopra.

penso quindi che la breve ripresa sia stata fatta piuttosto al ristorante, dove sicuramente ho cenato prima di partire.

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ma oramai il video è nato così; consideriamolo una libera invenzione narrativa, che non corrisponde ai fatti, e non lo butto via né lo rifaccio.

mi pare un bel modo comunque di concludere il diario visivo della giornata, per i motivi che spiegherò meglio in qualche prossimo post.

ultimi panorami nella sera dal tempio di Kanaka Durga a Vijayawada. 3 giugno 2006 – 842

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si avvicina la sera, che cala tanto più rapida quanto più ci si avvicina all’equatore, e qui è preannunciata dalle nuove intonazioni dei colori del cielo e del paesaggio.

mi distacco finalmente da questo tempio della dea della prosperità e della buona fortuna, Kanaka Durga, che penso abbia lasciato la sua impronta su di me.

e, nell’andarmene, mi affaccio dai bordi del recinto sacro, colorato a fasce bianche e rosse alternate, come sempre nella religione hindu:

ritrovo il lago, le colline, le case della città sottostante, qualche cupola, dorata o bianca, tra le giaculatorie e le preghiere trasmesse dagli altoparlanti del luogo sacro. qualche viso ulteriore,

qualche riflessione sulla fine del giorno, che il video lascia inespressa o suggerisce soltanto.

altri rituali hindu nel tempio di Kanaka Durga a Vijayawada. 3 giugno 2006 – 840

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[…] nel tempio un santone grasso ributtante e vanitoso, che faceva i suoi riti guardando la videocamera per venire bene, alla fine mi ha cosparso la fronte di rosso

e mi ha fatto ripetere come un cretino delle formule magiche delle quali non capivo una parola

e con le quali avro` come minimo venduto l’anima al diavolo.

ma io ero felice, ero disteso.

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ed ecco che cosa la mia nuova voce interiore di neobattezzato indù ha cominciato a dirmi.

il problema non e` di imparare a morire, che stupidaggine occidentale.

la morte e la vita sono una cosa sola.

se impari a vivere impari anche a morire, non c’e’ niente di speciale nella morte.

impara a vivere, a lasciarti attraversare, a non avere desideri tuoi, ma a vivere i desideri, a non avere amori tuoi, ma a vivere l’amore, impara a sentire il respiro, ad ascoltare la fame, ad essere curioso senza arroganza, a volere senza volere, a volere quello che la vita vuole, quello che il mondo vuole, ad essere apparenza.

impara. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/479-06-su-vijayawada-vii-11-4-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-33/

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la battuta contro chi pensa che in India si venga per imparare a morire è scritta pensando soprattutto a Gozzano, che qui venne appunto con questo scopo segreto, nel 1914, malato di tubercolosi, e lo scrisse alla fine dei suoi resoconti indiani, che poi cercò di rimettere insieme in un libro, ma senza riuscirci, perché la malattia lo uccise nel 1916 mentre ci stava lavorando, e aveva soltanto 33 anni.

è un po’ crudele dunque questa mia polemica con lui: bisognerebbe averla vissuta questa condizione di giovane condannato a morte.

erano le riflessioni che suscitava in lui la visita alla Benares di allora, la Varanasi di oggi, dove gli hindu venivano e vengono ancora a morire e a farsi bruciare come cadaveri sulla riva sacra del Gange.

e anche Pasolini conclude con le stesse immagini dei roghi funerari sulle rive del grande fiume sacro il suo L’odore dell’India.

ma Varanasi a me non farà tutta questa impressione lugubre tre anni dopo, quando la visiterò, in occasione dell’eclisse totale di sole del 2009: sarà per me la città vitale dei tessitori di seta e delle festa incredibile di centomila persone che si immergevano cantando nel fiume dopo che il sole ritornò a brillare, ponendo fine a quell’effimera notte di sei minuti.

così l’India resta per me la terra del trionfo disperato della vita, non riesco a collegarla ad una tetra immagine di morte.

anzi trovo che sia proprio il contravveleno contro questa idea negativa che ne ha l’Occidente, ma l’India no:

l’India la considera quasi una festa, ed ogni volta che ho visto qualche rito funebre lì, la gente cantava, ma con gioia, il momento della liberazione dai dolori del corpo.

in questo solo senso un occidentale dovrebbe venire in India per imparare a morire.

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mi dispiace davvero che manchino le riprese del rito che qui immagino che mi veda battezzato come hindu, però la cinepresa mi ha regalato queste ulteriori immagini delle cerimonie sacre e delle giaculatorie che il sacerdote grasso e barbuto ha recitato quasi per mio esclusivo diletto.

è evidente che non solo il mio occhio guarda curioso, ma il mio cuore partecipa; così spero che si trasferisca, anche a chi guarderà il mio povero video, una parte del benessere mentale, che i riti hindu distillano in me.

rituali hindu nel tempio di Kanaka Durga a Vijayawada. 3 giugno 2006 – 839

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[…] l’induismo è la mia religione.

l’induismo mi fa fisicamente bene, io non so come spiegarvelo. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/479-06-su-vijayawada-vii-11-4-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-33/

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chissà se si capisce, da queste riprese e dal video, che ha cercato di dare loro una forma meno occasionale: !è talmente vero quello che scrivo qui sopra!

da anni io verso il mio 8 per mille all’Unione Induista Italiana, facendo la denuncia dei redditi.

anche perché, se non lo destino e nessuno, i soldi non finiscono allo stato, come ci si aspetterebbe che succedesse per quelli di chi si dichiara non aderente a nessuna religione costituita, ma vengono suddivisi fra le diverse religioni, in proporzione alle percentuali che hanno raccolto fra chi si è dichiarato credente in qualcuna di loro.

questo significa che in sostanza viviamo in uno stato dove ateismo e agnosticismo non vengono considerati forme religiose particolari, ma tutti i cittadini sono da considerare obbligatoriamente credenti in qualcosa di positivo.

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e avevo perfino favoleggiato, in tempi passati, di offrire la mia casa come centro di raccolta per gli induisti della regione.

così, invece di comperarmi un tempietto induista in Nepal, che era annesso ad una grande casa medievale in vendita anni fa per 1.000 euro, me ne sarei forse costruito uno sulla collina di casa…

(questo per dimostrare a quali demenzialità potrebbe condurre una fantasia non tenuta rigidamente sotto controllo, come sono stato educato a fare).

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ma dell’induismo mi affascinano i colori, i suoni, la lentezza dei gesti e forse soprattutto la ben visibile intensità della fede profondamente sentita, che, per via forse del carattere esotico del tutto, per me, non mi appare come una banale manifestazione di beghinaggio e superstizione di massa, ma l’espressione di una religiosità autentica.

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così, ecco che, quel 3 giugno di 18 anni fa, mi aggiro con la mia videocamera tra questa gente, che si accalca, tra formule ripetute e per me incomprensibili, e gesti nuovi, come l’appoggio rapido di una campana sulla fronte, che tuttavia hanno al fondo qualcosa di familiare.

le corone dei fiori secchi e i festoni variopinti fanno da contorno ad un rito, officiato da un ragazzo vestito di bianco, particolarmente giovane, e compreso nella sua parte, che non ha l’aria di un vero e proprio sacerdote, ma quasi ancora di un novizio, alle sue prime armi di celebrante.

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ma questo rito poi non è proiettato lontano dal pubblico dei fedeli, su qualche altare, che resta distinto, in fondo all’abside di una chiesa, pur se di recente rivolto verso di loro, ma è carnalmente svolto nell’affollarsi tiepido dei corpi, delle vesti, delle teste, spesso rasate e lucide.

sono questi i particolari che dicono bene la differenza profonda dell’induismo dal cristianesimo, in termini di culto, e probabilmente anche dal paganesimo occidentale.

qui si vede bene che vi è nell’induismo e nei suoi riti un calore interno che conquista.

gente attorno al lago di Vijayawada. 3 giugno 2006 – 836

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dopo l’impatto con la realtà della città di Vijayawada, brulicante di sofferenze, almeno ai nostri occhi di europei benestanti, l’inizio della salita verso il grande tempio induista sulla collina mi permette di affacciarmi su scene molto più vitali e gioiose, per fortuna: la gente che si mescola sulla riva del grande lago artificiale, formato dalla diga che avevo percorso il giorno prima, arrivando qui, con l’incredibile varietà e vivacità della vita sociale indiana.

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nel resoconto via mail del giorno dopo, in vista della pubblicazione sul blog, non ne parlo, anzi questo si va facendo così sbrigativo sulla giornata, che qui registro per la prima volta una divergenza tra il racconto verbale e quello visivo.

così questo di adesso diventa il racconto di un percorso quasi diverso da quello raccontato allora.

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meglio così.

dopo le immagini prevalentemente dolorose del video precedente, ecco che il cuore si allarga, non solo sul panorama azzurro del lago nella sera che sta arrivando rapida, ma anche sull’animazione variopinta e rumorosa che lo circonda.

e da ultimo lo sguardo artificiale della videocamera accompagna quello naturale nel seguire un rustico ed artigianale battello carico di gente, che si allontana nel tramonto, solcando acque che diventano un simbolo di speranza.

ritorno a Vijayawada, verso il tempio: la gente dolorosa. 3 giugno 2006 – 835

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[…] il pullman mi ha riportato subito alla citta`.

in stazione dovevo essere alle 17 per verificare la mia prenotazione [per il treno per Hampi].

avevo ancora un paio d’ore per salire al tempio induista principale della citta`. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/14/479-06-su-vijayawada-vii-11-4-giugno-14-giugno-2006-bortolindie-33/

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dal momento del nuovo sbarco dall’autobus da Kondapalli in città, riprendono le riprese di Vijayawada, con le prime scene di altra vita urbana, in prossimità del suo tempio principale, in cima ad una piccola altura:

è il barbiere di strada, che rade un cliente ai bordi del solito traffico automobilistico stridente e rumoroso delle città indiane,

sono le prime immagini sacre ammucchiate attorno al grosso tronco di un albero bizzarro, per questo considerato sacro e dipinto di rosso,

sono le donne muratrici, che incontro ancora una volta in India, e sono visibilmente sfinite verso la fine della giornata (e la forzatura stessa che devo fare sulla lingua italiana, per dire qualcosa che per noi è quasi inconcepibile, stride come un gesso sulla lavagna e dice da sola la loro stanchezza),

sono i pellegrini, che salgono verso la collina su cui il tempio è abbarbicato, oppure che dormono semplicemente buttati giù lungo il camminamento metallico sospeso che vi conduce,

è una vecchia, che si procura l’elemosina soffiando qualche nota in una piccolissima specie di armonica a bocca.

e altro ancora, ora montato nel video, che pure è breve, tutto sommato.

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devo però avvisare le anime sensibili, che vorrebbero guardarlo (ma farei meglio ad usare il singolare…), che la mia videocamera non si è astenuta questa volta dal riprendere uno spettacolo davvero doloroso e perfino ripugnante:

un uomo che dorme, con un viso totalmente devastato da una malattia che glielo mangia e riempie di croste, su cui pasteggiano le mosche.

mostruosa è già soltanto la descrizione, ma ?come mai mi sono permesso di farlo questa volta?

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vorrei spiegare che, molte altre volte che ho incrociato spettacoli simili, mi sono astenuto dal gesto del cameraman, perché i soggetti erano consapevoli, e certamente venire ripresi sarebbe stata una ferita al loro io e una umiliazione, che avrebbe sottolineato la loro condizione di sofferenza.

ma qui l’uomo dormiva, non saprà mai di essere stato mostrato ad altri, come sto facendo qui; quindi non c’è nessuna violenza psicologica su di lui, ma soltanto sugli spettatori, semmai.

che, quindi, proprio per questo vengono avvisati.

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probabilmente non tutti accetteranno questa spiegazione e qualcuno mi considererà un mostro senza cuore, che passa di fianco alla sofferenza, accontentandosi di documentarla, ma senza intervenire per aiutarla.

ma ?qualcuno saprebbe dirmi davvero che cosa potevo fare per quell’uomo?, in questo caso.

alla fine denunciare che possono esistere casi come questo ?non è forse l’unica cosa che può fare di positivo? il viaggiatore di passaggio.

ma, mi verrà obiettato: anche così, questo video ?cambia forse qualcosa? per le sofferenze di quella gente variamente sventurata, che qui ha riempito delle sue sofferenze.

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cambia che il viaggiatore è passato in mezzo a loro, senza poter cambiare la loro situazione, ma almeno dicendola: io non ho voluto tenerla nascosta, e nel gesto della ripresa dolorosa ho almeno condiviso la loro sofferenza per un momento, per farne partecipe anche l’altrui pietà.

però vorrei dire a chi si indigna, semmai: è proprio questa pietà alla quale ti costringo che rifiuti, indignandoti, perché ti ho mostrato uno dei punti dolorosi ai quali può giungere la sofferenza umana.

via in bus da Vijayawada. 3 giugno 2006 – 825

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chi ha letto il resoconto della fine della giornata del 2 giugno, penserà, leggendo il titolo di questo post, che io alla mattina del 3 abbia abbandonato questa città che mi era rimasta abbastanza estranea, almeno fino a quel momento, per partire per Hampi in treno, come mi ero ripromesso di fare.

non fu così, e già il fatto che qui si parli di autobus, anziché di treno, dovrebbe avere insospettito i più attenti.

la mail del 4 giugno racconta che cosa era successo.

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[…] lo dico io che parto.

il treno fa servizio solo di notte, e parte alle 19,45.

[NOTA 2024: avrei dovuto dunque fare il biglietto già al momento dell’arrivo, ma non ci avevo pensato, non immaginando che le linee ferroviarie indiane potessero essere così affollate.]

ma peggio ancora: non ci sono piu` posti liberi.

con pena infinita riesco a capire che pero’ posso pagare il biglietto lo stesso e mettermi in lista d’attesa: saro’ il 29esimo.

accetto.

solo allora l’impiegato mi dice che ho good chance.

perfetto: devo solo occupare 12 ore esatte di tempo, che fare?

un’occhiata alla guida e scelgo quella che viene descritta come una citta artigiana, dove si intaglia il legno e c’e` un forte.

Kondapalle

(Andrea mi ha chiesto ieri se quel nome non è uno scherzo.

no) […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/12/471-kondapalle-vijayawada-vii-7-3-giugno-12-giugno-2006-bortolindie/

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il video raccoglie le riprese della partenza dalla città.

è un video francamente sgradevole, della serie di quelli che vogliono documentare anche i lati negativi dell’India, senza tacerli a vantaggio di qualche patinata illustrazione fantastica di un’India soltanto parziale.

qui ci sono i rumori del traffico, il caos delle strade, il delirio tipicamente indiano dei cartelloni pubblicitari onnipresenti, i sobbalzi del mezzo (pur se attenuati da un fortunatissimo programma gratuito di (relativa) stabilizzazione dei video e dal taglio dei passaggi nelle riprese riusciti peggio).

e in mezzo a tutto questo l’occhio viene invitato a fermarsi, attraverso il fermoimmagine, su qualche spunto che le riprese offrono:

una mucca sacra che gira libera,

un cartellone pubblicitario che sintetizza efficacemente l’immagine della donna e dell’uomo di questo paese,

ancora una delle tante bandiere rosse di questa città, comuniste si direbbe (ma la cosa oggi mi risulta dubbia),

e perfino una immagine, sicuramente da fissare, di un internet cafè, uno di quelli nei quali la sera andava a sfogare le mie paturnie di uomo solo in un viaggio quasi disperato.

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il video dura due minuti, quindi non ruba troppo spazio alla vita di chi se li guarda, quindi spero che almeno questi saltuari motivi di curiosità giustifichino il tempo veloce che si è chiesto di dedicare a queste immagini piuttosto brutte e certamente poco gradevoli.

aggiungo che il programma di stabilizzazione del video con l’Intelligenza Artificiale ha fatto quel che ha potuto, ma gli scuotimenti del bus erano davvero eccessivi e i risultati finali sono quasi peggiori delle riprese iniziali.

mi riservo comunque di provare ad intervenire ancora sul video in seguito per vedere se riesco a migliorarlo almeno un altro po’.

VIDEODIARIO del 2 giugno 2006 nelle foto montate in video – 824

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non dà grandi risultati dal punto di vista estetico neppure la riproduzione che ho fatto oggi della parte sul 2 giugno del mio vecchio video del 2009, che dedicato all’inizio di questo mio terzo viaggio in India del maggio-giugno 2006, sulla base delle sole scarse fotografie fatte a integrazione delle riprese video.

è stato il primo che ho dedicato all’India, tre anni dopo soltanto quel viaggio, e le mie competenze tecniche sul videomontaggio erano praticamente nulle.

ho aggiunto un commento musicale, stavolta; ma le immagini restano prive di una linea interpretativa coerente, se si eccettuano le prime dedicate ai templi rupestri di Undavalli, ma dipende proprio dall’umore storto della giornata, che si è rispecchiato anche nel modo di fotografare.

comunque riproporlo fa parte di un rito al quale sottopongo me stesso e i pochissimi che mi seguono con costanza degna forse di migliore causa.