le rovine del forte di Kondapalli – 830

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[…] in fondo, in cima a una montagna (sembrano 70-80 metri metri di dislivello, ma mai fidarsi, alla fine scopriro’ che erano almeno 200) si vedono delle rovine che sporgono, poca roba,

ma che devo fare? ci arrivero’. […]

salgo lentamente la mia via crucis di pietroni, chiedendomi se non sono pazzo o imprudente a muovermi cosi.

in fondo ho addosso quel che qui potrebbe mantenere una famiglia per un paio d’anni e i morti di fame non mancano.

donne piegate in due scendono il sentiero che io salgo, piegate sotto carichi immensi di canne di bambu.

non ho il coraggio di fotografarle.

tre uomini mi fanno passare con un cenno.

a poco a poco le rovine ingigantiscono: sono veramente immense, cavoli, ecco perche` pensavo che la strada fosse tanto piu breve.

ecco l’ultima svolta, sono ormai in una ridotta altissima che sbuca in un piazzale davanti ad una fortezza a piu’ piani. […]

https://corpus0blog.wordpress.com/2016/06/12/471-kondapalle-vijayawada-vii-7-3-giugno-12-giugno-2006-bortolindie/

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la cronaca nella mail di due giorni dopo dà due giudizi contraddittori delle rovine del forte di Kondapalli: poca roba, quando le vedo ancora da lontano, dall’inizio della salita per arrivarci; veramente immense, poi, quando finalmente ci entro, ed esprime anche una certa meraviglia per il cambiamento di prospettiva.

tuttavia anche il secondo giudizio mostra una qualche reticenza, a considerarlo bene: parlare della loro grandezza è infatti un modo per non esprimere una valutazione estetica esplicita, che si sarebbe tradotta ancora in qualche riserva.

in effetti, anche adesso che riguardo le riprese, qui vedo soprattutto un mucchio di rovine malcurate e prive di quel riconoscibile disegno architettonico che era evidente nelle monumentali rovine di Golconda o nelle stupefacenti sculture che costellavano quello di Warangal.

quindi confermo una certa delusione, dal punto di vista strettamente estetico, perché non emerge qualcosa di particolarmente suggestivo da questo accumulo di pietrame.

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vi è una sola vistosa eccezione, che nel montaggio ho messo nella foto conclusiva, l’unica che ho scattato qui, perché effettivamente volevo conservare il ricordo di qualcosa che mi aveva dato una vera emozione.

ed è la foto che mostra un intrico di enormi radici che ha completamente inglobato le pietre collocate dall’uomo.

è un’incredibile metaforica dimostrazione della debolezza e fragilità umana a fronte delle forza della natura: un messaggio quasi filosofico.

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questa rimanda nella mia mente a qualche altra immagine simile, sempre scoperta nel mondo tropicale, in tempi successivi, ma in quello contiguo dell’Indocina:

la testa di Buddha inglobata da un albero in Thailandia, che avrei visto un anno dopo, ad Ayuthaya:

e l’incredibile e suggestiva avanzata della giungla dentro qualche città khmer in Cambogia, che mi avrebbe entusiasmato nel 2013.

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qui a Kondapalli, però, rimane solo accennata questa specie di discorso, che le piante ci fanno sulla nostra nullità rispetto a loro.

il senso dell’immensità della natura rimane piuttosto affidato al furioso frinire delle cicale in mezzo al quale si svolge la mia faticata ascesa nel caldo, su verso questo forte quasi solitario e alzato contro il cielo.

del resto maggio è un mese sconsigliatissimo per i viaggi in India perché è forse il momento nel quale le temperature diventano quasi insopportabili, e tanto più lo saranno adesso, dopo due decenni di ulteriore riscaldamento globale.

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